Sì del Senato alla riforma sanitaria Obama: “E' un voto storico” – esteri – Repubblica.it
24 Dicembre 2009
NEW YORK – La riforma sanitaria di Barack Obama ha tagliato il traguardo storico che non era riuscito a nessun presidente – neppure a Bill Clinton. Con un voto al mattino presto alla vigilia di Natale, alle 7.16 il Senato ha licenziato il suo “bill”, il provvedimento (60 a 39 il voto finale, uno dei 40 repubblicani non ha votato) che adesso dovrà essere armonizzato con quello approvato dalla Camera il mese scorso. Se ne parla dopo le feste, naturalmente, e con ogni probabilità la firma definitiva, che il presidente non vede l’ora di apporre, non potrà arrivare prima di fine gennaio o inizio febbraio, vista la particolare difficoltà del dibattito: giusto in tempo perché la controversa legge diventi argomento di discussione della campagna elettorale di metà mandato in cui i democratici si preparano a pagare il calo di consensi di Barack.
Ma per ora è tempo di festeggiare, in tutti i sensi. Il presidente ha rimandato le vacanze alle Hawaii proprio per presenziare da Washington all’ultimo, anzi penultimo, atto della battaglia sui cui si sta giocando tutta la sua credibilità politica. “Una conquista storica” ha detto Obama apparendo di fronte alle tv prima delle nove del mattino americane, accompagnato da Joe Biden, il vicepresidente che aveva eccezionalmente presieduto la seduta del Senato. “Un voto che ci permetterà di far passare finalmente una vera, signficativa riforma sanitaria: siamo incredibilmente vicini a farlo”.
Sì del Senato alla riforma sanitaria Obama: “E’ un voto storico” – esteri – Repubblica.it
Il voto – il primo alla vigilia di Natale dal 1895, quando si votò per estendere a tutti i militari i benefici federali – ha confermato le previsioni, tra le proteste dei repubblicani. Jon Kyl, un rappresentante dell’Arizona, ha lamentato che il Congresso sia stato tenuto in ostaggio “in questo weekend di tormenta di neve”. I senatori avevano detto sì già tre volte nelle votazioni procedurali di questa settimana. I democratici si sono allineati dietro le direttive di Harry Reid, il capogruppo che ha dovuto mediare tra le diverse anime del partito e farsi garante di una serie di concessioni, politiche ed economiche. Il Wall Street Journal di Rupert Murdoch, che avversa la riforma, ha stilato il lungo elenco degli aiutini che sono serviti a catturare il voto di tutti i 58 senatori democratici e dei due indiependenti che votano con loro (il quorum di 60 voti era necessario per evitare il filibustering, la battaglia cavillare, dei repubblicani): nel Connecticut concessi 100 milioni al centro medico dell’Università, in Florida una clausolda da 5 miliardi di dollari “salva” i nonni che rischiavano di perdere l’assicurazione Medicare, 500 i milioni di aiuti al Massachussettes, 100 milioni al Vermont, esenzioni previste per il Michigan…
L’ultima grande riforma sanitaria risale negli Usa al 1965, anno della creazione di Medicare, l’assicurazione per gli anziani e i disabili. I democratici sostengono che il provvedimento da 871 miliardi di dollari riuscirà ora a coprire 31 milioni di americani per i quali l’assicurazione sanitaria oggi non è prevista. La legge vieta anche alle compagnie di negare la copertura ai bambini e a chi ha particolari “precedenti” medici (una discrezionalità scandalosamente penalizzante per i cittadini). La chiave del provvimento risiede nella norma che prevede l’obbligatorietà dell’acquisto di un’assicurazione sanitaria a tutti: previsti anche sussiddi per chi non se la può permettere e multe per le aziende con più di 50 dipendenti che non forniscono l’assicurazione.
Non c’è, invece, nel testo passato oggi al Senato, alcun riferimento alla cosidetta opzione pubblica, una sorta di assicurazione di Stato: l’accenno è scomparso dopo che l’indipendente Joe Lieberman (l’uomo che quando militava nei democratici fu candidato alla vicepresidenza con Al Gore) aveva minacciato di non concedere il suo indispensabile sì. Come alla Camera, è passata invece la norma che limita ancora di più l’uso di fondi pubblici per l’aborto terapeutico: una concessione già digerita con amarezza dai democratici più liberal ma che è servita a strappare il voto, anche questo necessario, del sessantesimo senatore, Ben Nelson.
Il presidente aveva già detto che il traguardo del Senato è “storico”, la fine di una battaglia “secolare” che permetterà allo Stato di “salvare tante vite e tanti soldi”, con un risparmio sul deficit calcolato da qui a dieci anni in 132 miliardi di dollari dall’Ufficio Budget, una commissione nonpartisan del congresso.
La palla passa adesso alla conferenza Camera-Senato che dovrà stilare quel provvedimento da far approvare nell’ordine ai due rami del Parlamento. L’appuntamento è all’anno prossimo ma il lavoro degli sherpa – una triangolazione tra Camera, Senato e Casa Bianca – è già cominciato
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