«Non si combatte l’abusivismo cominciando dalla povera gente»
30 Gennaio 2010di Serenella Mattera
Raffaele La Capria. Lo scrittore sugli scontri a Ischia tra polizia e cittadini per un abbattimento: «Si dà il vero esempio combattendo le grandi speculazioni. Le denunciammo con Rosi ai tempi di “Le mani sulla città” ma purtroppo non è servito a molto».
«L’abusivismo va combattuto, è sicuro. Ma il modo in cui questo principio è stato messo in atto ultimamente mi sembra non soltanto tardivo, ma soprattutto poco efficace». Esordisce così lo scrittore napoletano Raffaele La Capria, quando gli si chiede di commentare gli scontri di giovedì sull’isola d’Ischia tra la polizia e i cittadini che tentavano di impedire l’abbattimento di una casa abusiva.
In che senso poco efficace?
Ho visto in televisione che hanno distrutto in modo brutale una casetta di povera gente. Mentre l’abusivismo ha prodotto edifici di ben altra importanza che potevano essere attaccati per primi, se si voleva dare un vero esempio.
E in questo senso dice che l’intervento è stato anche tardivo?
È stato molto tardivo, perché si doveva mettere in atto anni fa. Non si può prima lasciare che si facciano tutti gli abusi possibili e poi svegliarsi un giorno e accorgersi che bisogna distruggere una povera casa alle falde del monte Epomeo (il monte di Ischia, ndr). Un abusivismo spaventoso negli anni ha distrutto non solo la Campania, ma uno dei beni più grandi che l’intero Sud aveva: la bellezza della natura e del paesaggio, che avrebbe potuto dare luogo ad attività molto più redditizie di quelle che fino ad oggi si sono praticate.
In questi giorni al Senato si discute una norma per estendere il condono del 2003 alle abitazioni campane, in un primo momento escluse. Quanta colpa crede che abbiano i condoni nella situazione attuale?
Non entro nei dettagli, che non conosco bene. So soltanto che i condoni mitigano la severità del principio sacrosanto per cui l’abusivismo non deve essere tollerato. Perciò è giusto che un segnale venga dato. Tutti devono sentire questo messaggio: «D’ora in poi stiamo bene attenti, perché se costruiamo una casa abusiva sarà distrutta». Bisogna finirla con la mentalità che non considera l’abusivismo un grave peccato.
Lei è stato uno dei primi a denunciare questo “peccato”, nel dopoguerra.
Negli anni ’60, insieme con il regista Francesco Rosi, abbiamo fatto un film contro la speculazione edilizia che aveva trasformato Napoli dalla città della cartolina col pino, in un’enorme conurbazione, sempre più rassomigliante a una megalopoli sudamericana. Quel film si intitolava Le mani sulla città. E le mani erano quelle degli speculatori che si abbattevano sulla città di Napoli senza pietà.
Il film vinse il Leone d’Oro a Venezia.
Ma non servì a molto perché la volontà di chi vuole costruire abusivamente una casa, la sua costanza, la sua furberia, la sua abilità, sono cento volte più forti della volontà dello Stato di impedire quell’abuso.
Ieri il direttore del Corriere del Mezzogiorno Marco Demarco al Riformista ha detto che Le mani sulla città ha creato «tanti danni», perché ha instillato a Napoli una «paura del cemento» che ha bloccato lo sviluppo urbanistico e favorito invece nuovo abusivismo. Cosa ne pensa?
Non capisco bene cosa significhi la paura del cemento di cui parla Demarco. So soltanto che dopo il nostro film si è continuato a costruire case a più non posso. Una casa dopo l’altra. Anzi, Franco e io siamo stati piuttosto delusi dal fatto che una denuncia così forte come quella del film non abbia prodotto nessuna vera reazione. E succede molto spesso in Italia che le denunce finiscano nel nulla. Francamente non ho ben capito perché Le mani sulla città avrebbe addirittura prodotto dei danni. Si vede che infinite sono le vie del Signore.
30 gennaio 2010 – Il Riformista