L’Egitto costruisce un muro al confine con Gaza. Perchè nessuno protesta? | Ebraismo e Dintorni

5 Gennaio 2010 0 Di ken sharo

L’Egitto costruisce un muro al confine con Gaza. Perchè nessuno protesta? | Ebraismo e Dintorni.

L’Egitto costruisce un muro al confine con Gaza. Perchè nessuno protesta?

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, il commento di Pierluigi Battista dal titolo ” Se il muro dell’Egitto non indigna nessuno “, a pag. 17, la cronaca di Francesco Battistini dal titolo ” L’Egitto costruisce un muro d’acciaio per isolare Gaza. Da REPUBBLICA, a pag. 24, l’articolo di Alberto Stabile dal titolo ” A Gaza anche un Muro egiziano la Striscia sarà chiusa su ogni lato “.

Molto equilibrato l’articolo di Pierluigi Battista.  Non si può scrivere altrettanto dei pezzi di Battistini e Stabile, focalizzati sulle presunte responsabilità di Usa e Israele per la costruzione del muro fra Gaza ed Egitto ( Francesco Battistini : ” Inutile dire che cosa pensino della faccenda a Gerusalemme: da anni qui si rimprovera a Mu­barak di non fare abbastanza per fermare i Qassam irania­ni che arrivano via tunnel. E forse non è casuale che, mar­tedì, Netanyahu abbia parlato d’una barriera da tirar su, lui pure, lungo la frontiera tra Israele ed Egitto: in pratica, un prolungamento del muro d’acciaio.“, Alberto Stabile : ” all´indomani dell´operazione Piombo Fuso, Israele ha sollevato il problema del contrabbando in direzione della Striscia di Gaza come una questione di primaria importanza di cui la comunità internazionale avrebbe dovuto farsi carico. Gli Stati Uniti si sono offerti di partecipare ai pattugliamenti. La Germania ha offerto all´Egitto macchinari e tecnologia. Dopo che è stata valutata anche la possibilità di costruire un enorme fossato, è passata l´idea del muro di ferro. “).
L’unico responsabile dell’edificazione del muro di acciaio al confine con Gaza è l’Egitto che, fino a prova contraria, è uno Stato sovrano e decide da sè che cosa costruire sul proprio territorio.
Come scrive giustamente Battista, viene da chiedersi come mai i pacifisti, le Ong, Amnesty, non protestino in difesa dei diritti dei palestinesi di Gaza. Sarà perchè non c’è di mezzo Israele ?
Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA – Pierluigi Battista : ” Se il muro dell’Egitto non indigna nessuno “


Pierluigi Battista

Q uesta volta nessuno grida invettive al «muro della vergogna» e al «muro dell’apartheid» e Amnesty International non investe le autorità del mondo additando alla riprovazione universale il «muro della segregazione». Stavolta il muro di acciaio super-resistente, lungo una decina di chilometri, capace di andare in profondità fino a 30 metri sottoterra e che non farà passare nemmeno uno spillo destinato ai palestinesi di Gaza, è tutto di marca egiziana. Non israeliana, e dunque immeritevole di cortei, petizioni, accorati appelli umani­tari.

Il muro dell’Egitto viene riedificato, sta­volta indistruttibile, dove i palestinesi di Ga­za avevano distrutto parte di quello antico. Non solo militanti di Hamas, ma civili che tentavano di sfuggire all’embargo israelia­no. Strategicamente e militarmente l’Egitto ha più di una ragione dalla sua: attraverso i tunnel al confine non c’era solo un andiri­vieni di viveri e contrabbandieri, ma di ar­mi, munizioni, materiale indispensabile per costruire quell’arsenale di missili con cui Hamas, padrona dispotica e incontrasta­ta nella striscia di Gaza, ha preso a bombar­dare la popolazione civile di Israele, a po­che centinaia di metri oltreconfine.

Lo stesso Stato di Israele, ovviamente, guarda al muro egiziano con atteggiamento tutt’altro che ostile. Prima di tutto per l’ostruzione che quella barriera d’acciaio de­terminerà nell’incessante traffico di armi ed esplosivi destinati ad alimentare la guer­ra santa con cui Hamas vorrebbe radere al suolo Israele e annientare i «sionisti usurpa­tori ». In secondo luogo per il segnale di di­sponibilità politica dell’Egitto nell’opera di indebolimento dell’ala più oltranzista del movimento palestinese. Il «muro d’Egitto» ha dunque una forte motivazione politi­co- militare. Ma è impensabile che tra i suoi effetti cosiddetti collaterali non ci sia anche un peggioramento nelle condizioni di vita dei palestinesi civili di Gaza, irrimediabil­mente schiacciati tra l’embargo di Israele e il filo spinato srotolato da un potente Paese arabo.

Solo che queste ripercussioni negative sulla popolazione palestinese nel caso del muro egiziano appaiono secondarie, non suscitano l’indignazione internazionale, non mobilitano l’opinione pubblica più vul­nerabile al richiamo ideologico anti-israe­liano. Anche il «muro» israeliano (peraltro nella sua parte preponderante impropria­mente definito così) ha dalla sua ottime ra­gioni autodifensive, e in questi anni ha con­sentito una diminuzione rilevantissima di attentati suicidi contro la popolazione civi­le di Israele. Ma quello di Gerusalemme vie­ne bollato, esecrato e vituperato come il «muro della vergogna e dell’apartheid», mentre quello egiziano no. I pacifisti appa­iono silenti, non si accendono i riflettori dei media internazionali, non si versano la­crime sul destino terribile e amaro dei pale­stinesi di Gaza.

È come se, per l’ennesima volta, non ac­quistasse alcun rilievo emotivo, nelle can­cellerie ma anche in chi segue con passione ed alta temperatura morale le cose del Me­dioriente, la brutalità, la spregiudicata in­sofferenza, il cinismo con cui i Paesi arabi hanno trattato e continuano a trattare i loro «fratelli» palestinesi.

L’ex rappresentante dell’Olp Nemer Ham­mad ha raccontato in modo dettagliato la sorte dei tantissimi profughi palestinesi in­carcerati nei Paesi arabi tra il ’48 e il ’67, dal­la nascita d’Israele all’occupazione israelia­na dei territori palestinesi dopo la Guerra dei sei giorni. E la crudeltà con cui i guerri­glieri palestinesi sono stati trattati dalla Si­ria, dalla Giordania (a cominciare dal «Set­tembre nero»), dal Libano in molti casi non è nemmeno lontanamente paragonabile agli standard consueti adottati da Israele contro il suo nemico giurato sul piano mili­­tare, politico e psicologico. E mentre, aven­do al centro dell’attenzione il destino di un palestinese di Gaza e della Cisgiordania, il muro israeliano appare agli occhi del mon­do come un’intollerabile vessazione ai dan­ni dei reietti della Terra, per il muro di un Paese amico questa stessa considerazione anche vagamente umanitaria sbiadisce e ad­dirittura si annulla. L’indignazione selettiva viene applicata con puntualità e precisione e gli egiziani non vengono indicati agli oc­chi del mondo come gli affamatori dei pale­stinesi. Come d’incanto, sparisce l’apar­theid. E anche, se non soprattutto, la propa­ganda sull’apartheid.

CORRIERE della SERA – Francesco Battistini : ” L’Egitto costruisce un muro d’acciaio per isolare Gaza


Hosni Mubarak

GERUSALEMME — Più du­ro d’un muro. Più profondo d’un tunnel. Più invisibile d’un contrabbandiere. Gli egi­ziani lo starebbero costruen­do da diciassette giorni. In se­greto. «Di giorno scavano, di notte piazzano le putrelle». Un gigantesco scudo d’accia­io rinforzato, a prova di bom­be e di fiamma. Impenetrabi­le. Che chiuderà il confine di Rafah per 9-10 km. E arriverà fino a 30 metri sottoterra. E servirà a bloccare le armi che passano per centinaia di tun­nel. E chiuderà Gaza per sem­pre, e dappertutto. Il governo del Cairo avrebbe dato l’ok nei mesi scorsi, gli americani non avrebbero detto no, gl’ israeliani avrebbero detto che era ora. Chi abita sull’orlo della Striscia, chiede l’anoni­mato e conferma: «Sono ve­nuti operai, camion, ruspe. Quattro chilometri li hanno già completati. Tengono tut­to nascosto, per paura di rea­zioni. Ma scavano molto. E co­prono dove lavorano».

Muro contro muro. Se sca­tenò l’indignazione interna­zionale quello che Sharon co­struì in pochi mesi, per bloc­care i kamikaze dalla West Bank, provoca solo un imba­razzato silenzio questo che Mubarak starebbe montando di notte, per sigillare Gaza. A rivelare il progetto è stato mercoledì un quotidiano isra­eliano, Haaretz . A riprendere la notizia è stata ieri la Bbc.

Obbligando il governo egizia­no a una smentita breve, at­traverso il sito del giornale Al-Shorouk: «Per fermare il contrabbando, l’Egitto sta conducendo un’azione seria ed efficace, senza ricorrere ad alcun muro». E poiché quest’ azione viene svolta da mesi assieme agli americani — do­po che alla Conferenza di Sharm el Sheikh fu Hillary Clinton a garantire l’invio di tecnici e sensori radar — ec­co diventare più di un’ipotesi il consenso Usa allo scudo: «Ogni domanda su progetti specifici a Rafah — non nega l’ambasciata americana al Cai­ro — va rivolta direttamente al governo egiziano». Inutile dire che cosa pensino della faccenda a Gerusalemme: da anni qui si rimprovera a Mu­barak di non fare abbastanza per fermare i Qassam irania­ni che arrivano via tunnel. E forse non è casuale che, mar­tedì, Netanyahu abbia parlato d’una barriera da tirar su, lui pure, lungo la frontiera tra Israele ed Egitto: in pratica, un prolungamento del muro d’acciaio.

Sbarrare i tunnel, strango­lare Gaza. «Non posso crede­re che i nostri fratelli metta­no una barriera fra noi», dice un portavoce di Hamas, Yehiye Moussa. Eppure la Stri­scia sta diventando un proble­ma soprattutto degli egiziani. La guerra d’un anno fa ha ri­dotto del 90% il lancio dei raz­zi su Israele e gli altri valichi sono insuperabili: col conta­gocce, l’esercito israeliano ha concesso in questi giorni di portare dentro 10mila dosi di vaccino per l’influenza A e d’esportare un po’ di fiori dal­le serre. Anche le trattative per la liberazione di Gilad Shalit, tornate in altomare, si fanno al Cairo (a proposito: resterà aperto il tunnel Vip, usato per le delegazioni di Ha­mas?). L’anno scorso, quan­do a migliaia sfondarono il va­lico di Rafah e si riversarono in Egitto, non passarono inos­servati i modi spicci con cui la polizia di Mubarak li ricac­ciò indietro: molti Paesi arabi contestarono «il faraone», che non fa nulla per alleviare l’isolamento d’un milione e mezzo di «fratelli» palestine­si. Per i tunnel, ricostruiti do­po la guerra, oggi passano ci­bo, auto, moto, droga, medici­nali, benzina. Perfino vacche e Viagra. Senza i tunnel, Gaza non evade più nemmeno dall’ incubo.

La REPUBBLICA – Alberto Stabile : ” A Gaza anche un Muro egiziano la Striscia sarà chiusa su ogni lato “

GERUSALEMME – Le hanno provate tutte per bloccare i tunnel della vita e della morte che alimentano il contrabbando dall´Egitto verso la Striscia di Gaza. Pattugliamenti continui lungo il confine, delicati sensori capaci di registrare anche il movimento di una piccola zolla, allagamento dei cunicoli, persino il gas. Ma niente ha fatto indietreggiare l´esercito delle talpe. Adesso, su suggerimento e forse anche finanziamento degli americani, le autorità del Cairo ci proveranno con una barriera sotterranea di metallo impenetrabile, capace di resistere anche all´esplosivo, lunga 10-11 chilometri e profonda fino a 20-30 metri la cui posa è già iniziata in gran segreto. Durata prevista dei lavori, un anno e mezzo.
La diga sotto terra che dovrebbe arginare il flusso dei traffici per e dalla Striscia di Gaza attraverso quella sorta di enorme gruviera che è il confine di Rafah, sorgerà a perpendicolo del vecchio muro di ferro che i guastatori di Hamas fecero saltare in una notte nel gennaio del 2008, dando ad un milione e mezzo di palestinesi imprigionati dal blocco messo in atto da Israele l´illusione della libertà. Insieme, assicurano gli esperti americani, muro esterno e barriera sotterranea dovrebbero costituire un ostacolo insormontabile.
In un luogo come la Striscia di Gaza, che storicamente è sempre stato un crocevia di traffici, di eserciti e di viaggiatori, combattere il contrabbando è praticamente impossibile. Ma è con la chiusura dei valichi, decisa da Israele dopo l´ascesa al potere delle milizie di Hamas, che i tunnel lungo il confine con l´Egitto hanno acquisito importanza strategica.
E non soltanto perché gli unici beni, a parte quelli strettamente umanitari, capaci di alleviare la penuria e l´isolamento che hanno colpito la popolazione della Striscia, vengono di lì. L´inventario di ciò che passa attraverso le vie sommerse del contrabbando è praticamente infinito: dagli animali alle motociclette, dai computer ai vestiti, dalla benzina alla sigarette. I tunnel sono essi stessi un´attività economica lucrativa, e non solo per i clan che li gestiscono, versando, a quanto pare, una “tassa” alle casse di Hamas, ma anche per le centinaia di disperati che vi lavorano e spesso ci lasciano la pelle.
Ma non è tutto. Attraverso i tunnel, anche se pare si tratti di una rete diversa, passano le armi destinate all´arsenale di Hamas. Armi non soltanto leggere: anche componenti essenziali per assemblare i missili Kassam e Grad con cui le milizie palestinesi della Striscia hanno colpito le città israeliane del Negev. I tunnel, diciamo così, militari, avrebbero anche permesso a gruppi di guerriglieri islamici legati ad Al Qaeda di approdare e mettere radici nella Striscia.
Ora, nonostante l´esercito israeliano abbia cantato vittoria alla fine delle tre settimane di guerra combattuta contro Hamas tra dicembre 2008 e gennaio 2009, la battaglia dei tunnel non si è conclusa con un esito certo. Al contrario, all´indomani dell´operazione Piombo Fuso, Israele ha sollevato il problema del contrabbando in direzione della Striscia di Gaza come una questione di primaria importanza di cui la comunità internazionale avrebbe dovuto farsi carico. Gli Stati Uniti si sono offerti di partecipare ai pattugliamenti. La Germania ha offerto all´Egitto macchinari e tecnologia. Dopo che è stata valutata anche la possibilità di costruire un enorme fossato, è passata l´idea del muro di ferro. Non sarà l´unico Muro destinato ad incidere nei rapporti tra Israele e i suoi vicini arabi. A parte la «barriera» che separa gli israeliani dai palestinesi, qualche giorno fa s´è saputo che Netanyahu penserebbe ad un altro muro lungo il confine tra Israele ed Egitto per impedire l´arrivo d´immigrati clandestini dall´Africa.

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