Alcoa, protestano in migliaia davanti Montecitorio. Ma in aula si discute di legittimo impedimento – Italia – l’Unità.it

4 Febbraio 2010 0 Di ken sharo

Alcoa, protestano in migliaia davanti Montecitorio. Ma in aula si discute di legittimo impedimento – Italia – l’Unità.it.

Quando è scesa la sera hanno acceso anche un falò, un po’ per scaldarsi dopo ore al freddo. Un po’ per non spegnere la luce sulla loro protesta. Eccoli gli operai dell’Alcoa: 600 dalla Sardegna, altri 400 dal Veneto. In piazza Montecitorio per scongiurare la chiusura degli stabilimenti di Portovesme e di Fusina. Circondati da un cordone strettissimo di polizia per evitare «contatti» con Palazzo Chigi. Nella sede del governo Gianni Letta con i manager aziendali di Pittsburgh, i sindacati confederali, i ministri Sacconi, Scajola, Ronchi. Partita dura. Gli americani vogliono pagare l’energia sotto i 30 Kw-ora, Enel non è disposta a riduzioni di prezzo. E poi c’è la commissione Ue contraria a sconti concessi con agevolazioni statali. Anche ieri notte nulla di fatto. Il tavolo è stato rimandato a lunedì 8 febbraio. La trattativa è tutta in salita e si gioca sulle date: chiedere all’Alcoa di non chiudere gli impianti e arrivare fino a quando Bruxelles si pronuncerà sul decreto governativo che prevede agevolazioni energetiche nelle aree «svantaggiate»: Sardegna e Sicilia. Barroso, dopo una telefonata di Berlusconi da Israele, avrebbe assicurato  che la commissione esaminerà il dl nella prossima riunione del 10 febbraio. Certo è che il governo esce nuovamente sconfitto in questa drammatica vertenza. Dall’Alcoa arrivano poche concessioni, in mancanza di certezze sui tempi di approvazione del decreto. Nel frattempo l’amministratore delegato dell’azienda in Italia, Giuseppe Toia, volerà in Usa per valutare la situazione con il quartier generale di Pittsburgh.  E stamane il ministro  Scajola si è visto costretto a rilasciare una nota che suona come un avvertimento:  «Il governo non permetterà decisioni unilaterali. Alcoa subirà tutte le conseguenze di una scelta improvvida».

D’improvviso del dramma di Portovesme e Fusina si accorgono tutti. Perfino la Lega che si dice vicino ai lavoratori. Tante rassicurazioni, dichirazioni d’intenti non bastano.Dopo aver passato la notte fuori Palazzo Chigi, una parte degli operai  tornerà negli stabilimenti per garantire la continuità della produzione, ma un gruppo resterà a Roma. Presidio simbolico ma significativo. Perché la situazione è gravissimna, la vertenza appesa a un filo. “Vediamo cosa deciderà la multinazionale, sennò spetta al governo trovare misure straordinarie per garantire la continuazione dell’attività – ha detto il leader della Cgil Epifani -. Da parte nostra confermiamo che Alcoa non può chiudere. Se chiude, non riapre. Quindi occorre che tutti i mezzi, nessuno escluso, siano utilizzati».

I padroni americani
Il problema restano i padroni americani. Hanno rilevato gli stabilimenti a prezzi stracciati, raggranellato aiuti consistenti e ottenuto utili da record. Eppure non hanno alcun interesse a proseguire l’avventura italiana. Per loro chiudere Alcoa è risolvere in fretta un problema di costi. Per gli operai, invece, è la fine. È la sesta volta che tornano a Roma. Sono partiti da Cagliari lunedì pomeriggio con la nave della Tirrenia, ieri sono sbarcati alle 10.30 a Civitavecchia. C’era mare. «Ma parlavamo tra noi, ci caricavamo», raccontano. Un’odissea. Poi i pullman fino a Roma, «pagati di tasca nostra, tassandoci», e infine Montecitorio. Alla Camera il dibattito sul legittimo impedimento, sotto la disperazione di chi sta perdendo tutto. Paradossi nostrani. Vergogne da Repubblica delle banane. «Stiamo perdendo anche l’idea della speranza», spiega un operaio giovanissimo, con la bandiera sarda dei Quattro Mori avvolta sulle spalle. Non si fermano quelli dell’Alcoa. «Non molliamo mai». Cantano come allo stadio, usano i fischietti, sparano i petardi di Natale, picchiano sui tamburi di latta. Tosti quelli dell’Alcoa. «Fare casino è l’unico modo per farci ascoltare perché siamo sardi e l’Isola è troppo lontana dagli interessi di questa gente qui». Indicano il Parlamento. Slogan, cori. «Berlusconi dove sei? Cappellacci dove sei?». Il presidente della Regione ieri ha dovuto ricevere Bertolaso alla Maddalena: più importante sponsorizzare i fantasmi del G8, dare un tocco di cipria allo sfascio, coprire lo spreco. Oltre 300 milioni di euro buttati al vento. Maestrale, per la precisione.

Le tende nella notte
Non mollano quelli dell’Alcoa. Montano le tende, srotolano i sacchi a pelo. «Abbiamo un biglietto di sola andata», dice un operaio anziano, metà vita trascorsa in fonderia. Sono uomini in maggioranza, molte anche le donne. E poi ci sono i veneti con le bandiere di San Marco, i «fratelli» di Fusina, che raccontano di altri tempi, quando Marghera funzionava alla grande. Nel pomeriggio arriva Bersani e viene salutato con un applauso, gli operai gli consegnano un casco, una barretta di alluminio. C’è anche Di Pietro che stringe mani, s’indigna. Susanna Camusso, segretario confederale della Cgil, sintetizza il problema in poche battute: «L’obiettivo del tavolo è che la multinazionale americana dell’alluminio ritiri la decisione di fermare gli impianti. Questo equivarrebbe alla chiusura dei siti. E noi lo riteniamo inaccettabile. Andiamo a misurare l’autorevolezza del Governo». Autorevolezza ridotta al lumicino, visti i risultati. Ma non sono soli quelli dell’Alcoa. Chi è rimasto a Portovesme ha raddoppiato i turni per non fermare la produzione. A Carbonia e Iglesias le scuole sono rimaste chiuse e in serata, in contemporanea con la manifestazione a Roma, il vescovo ha guidato una fiaccolata di solidarietà. Rosari e slogan, rabbia e orgoglio. Perché Alcoa, per la Sardegna, è l’ultima roccaforte. In un anno, nel Sulcis Iglesiente, hanno chiuso Euroallumina, Ila e Rockwull. Un deserto. Non c’è altro. La terra in ginocchio. «Biglietto di sola andata, non molliamo».

02 febbraio 2010