IL MANIFESTO
9 Febbraio 2010 Vincenzo Consolo
L’oracolo di Termini
Antica, antichissima Termini Imerese, preistorica e quindi greca, cartaginese, romana… L’Himera greca, distrutta dai cartaginesi, rinasce presso le Terme, le fonti d’acqua radioattive.
Dopo Termini, a sinistra dell’autostrada da Palermo a Messina, si stende, sotto il monte San Calogero, la pianta dell’agglomerato industriale. È una piana affollata, oltre che da una centrale elettrica intitolata a Ettore Majorana, da miriadi di capannoni deserti, ormai cadenti, quasi distrutti. Sono capannoni degli industriali che, presa la sovvenzione dello Stato e dalla Regione Sicilia, avevano aperto e subito chiusa la loro attività, lasciando vuoti, deserti i loro capannoni. In quella piana sorge anche la famosa Fiat, il marchio di Marchionne, che vuole oggi chiuderla, lasciando sul lastrico, nell’assoluta povertà, migliaia di operai e le loro famiglie. Ancora un’illusione infranta dopo quella petrolifera e pestifera di Augusta, Melilli, Gela, della industrializzazione in Sicilia dopo la distruzione dell’agricoltura.
C’è una poesia del brasiliano Murilo Mendes, pubblicata negli anni Cinquanta, dal titolo Canzone di Termini Imerese. Recita (qui nella traduzione della lusitanista Luciana Stegagno Picchio):
A Termini Imerese son venuto/ da Termini Imerese m’allontano./ Ricerco la forma nel caos/ ricerco il nucleo del suono./ A Termini Imerese son venuto/ da Termini Imerese m’allontano./ A mia immagine mi son mutato/ e sono io stesso l’oracolo.
Ma l’ha scritta Murilo Mendes questa poesia o l’ha scritta Marchionne? L’ha scritta Cavour, Vittorio Emanuele II, Umberto di Savoia o Emanuele Filiberto, il ballerino? L’ha scritta l’avvocato Gianni Agnelli, Luca di Montezemolo o Elkann? Boh, chi lo sa. Quando questi operai licenziati di Termini emigreranno a Torino, i torinesi esporranno ancora i cartelli con su scritto: «Non si affitta ai meridionali?» Boh, chi lo sa.
Dopo Termini, a sinistra dell’autostrada da Palermo a Messina, si stende, sotto il monte San Calogero, la pianta dell’agglomerato industriale. È una piana affollata, oltre che da una centrale elettrica intitolata a Ettore Majorana, da miriadi di capannoni deserti, ormai cadenti, quasi distrutti. Sono capannoni degli industriali che, presa la sovvenzione dello Stato e dalla Regione Sicilia, avevano aperto e subito chiusa la loro attività, lasciando vuoti, deserti i loro capannoni. In quella piana sorge anche la famosa Fiat, il marchio di Marchionne, che vuole oggi chiuderla, lasciando sul lastrico, nell’assoluta povertà, migliaia di operai e le loro famiglie. Ancora un’illusione infranta dopo quella petrolifera e pestifera di Augusta, Melilli, Gela, della industrializzazione in Sicilia dopo la distruzione dell’agricoltura.
C’è una poesia del brasiliano Murilo Mendes, pubblicata negli anni Cinquanta, dal titolo Canzone di Termini Imerese. Recita (qui nella traduzione della lusitanista Luciana Stegagno Picchio):
A Termini Imerese son venuto/ da Termini Imerese m’allontano./ Ricerco la forma nel caos/ ricerco il nucleo del suono./ A Termini Imerese son venuto/ da Termini Imerese m’allontano./ A mia immagine mi son mutato/ e sono io stesso l’oracolo.
Ma l’ha scritta Murilo Mendes questa poesia o l’ha scritta Marchionne? L’ha scritta Cavour, Vittorio Emanuele II, Umberto di Savoia o Emanuele Filiberto, il ballerino? L’ha scritta l’avvocato Gianni Agnelli, Luca di Montezemolo o Elkann? Boh, chi lo sa. Quando questi operai licenziati di Termini emigreranno a Torino, i torinesi esporranno ancora i cartelli con su scritto: «Non si affitta ai meridionali?» Boh, chi lo sa.