Traballa Dagan, il capo del Mossad

19 Febbraio 2010 0 Di luna_rossa

Se il Times di Londra riconosce a Israele il diritto di «difendersi» in ogni modo, quindi facendo anche uso di passaporti britannici per operazioni «speciali» del Mossad, il governo di Gordon Brown al contrario non sembra disposto a concedere a Tel Aviv tanta libertà di azione.
Ieri dunque il ministro degli esteri britannico David Miliband ha convocato l’ambasciatore israeliano per chiedere a Tel Aviv una «cooperazione piena» nell’inchiesta sull’utilizzo di passaporti del Regno unito (appartenenti a israeliani con la doppia cittadinanza) da parte del commando che il mese scorso ha assassinato in un hotel di Dubai Mahmoud al-Mabhouh, uno dei fondatori dell’ala militare di Hamas. «Noi speriamo e ci attendiamo che cooperino pienamente con gli inquirenti», ha detto Miliband dopo avere incontrato al Foreign Office l’ambasciatore dello Stato ebraico.
Lo stesso hanno fatto Dublino e Parigi, dopo la rivelazione che i killer del dirigente di Hamas erano in possesso anche di un passaporto francese e di tre irlandesi. Ad aggiungere pressioni è stata la polizia di Dubai, che ieri ha comunicato di essere certa «al 99%» che dietro l’omicidio ci sia il Mossad e ha già provveduto a far inserire nelle liste dell’Interpol i nomi degli 11 sospetti assassini di al Mabhouh.
Sulla graticola in queste ore c’è il capo del Mossad, Meir Dagan, osannato in patria, elogiato un paio d’anni fa anche da un importante quotidiano italiano e più di recente persino da un giornale arabo, l’egiziano al Ahram. Dagan va benissimo al premier Netanyahu e al resto del governo, e lui stesso ha già fatto sapere di non avere alcuna intenzione di dimettersi. Tuttavia il gioco ora è scoperto. Israele continua a non ammettere (e non smentire) il suo coinvolgimento nell’uccisione di al Mabhouh. Ma anche alla Gran Bretagna, riconoscendo il modo di agire tipico del Mossad, ha chiamato in causa Israele. Così si è fatta più folta la schiera degli «esperti» israeliani che suggeriscono a Dagan di andarsene, come fece il predecessore Danny Yatom nel 1997 dopo il fallito omicidio del leader di Hamas in esilio, Khaled Mashaal, ad Amman (due agenti del Mossad, in possesso di passaporti canadesi, furono catturati dalla polizia giordana). E’ perciò difficile immaginare a fine anno l’ennesimo rinnovo dell’incarico a Dagan, nominato capo del servizio segreto israeliano nell’agosto 2002 dall’allora premier Ariel Sharon.
Le dimissioni di Dagan sarebbero un colpo diretto allo stesso Netanyahu. Il capo del Mossad, spietato contro i palestinesi, che si proclama piuttosto un «amante della pittura e della cucina italiana», è considerato in Israele una specie di «superman»: l’uomo che, mettendo da parte scrupoli ed esitazioni, ha ridato al servizio segreto israeliano quell’immagine di brutale efficienza che aveva avuto prima dell’arrivo al comando di Ephraim Halevy, amante dell’analisi e della tecnologia più che dell’azione. Appena nominato, Dagan ha mandato in pensione decine di agenti poi sostituiti da giovani (anche arabi). Soprattutto ha incrementato le operazioni sporche e gli omicidi mirati. Il suo «colpo» principale è stato l’uccisione a Damasco di Imad Mughniyeh, il comandante militare di Hezbollah, per il quale appena qualche giorno fa il leader del movimento sciita libanese, Hasan Nasrallah, è tornato a promettere una «vendetta fredda». Per ironia Dagan ha commesso i primi passi falsi contro un obiettivo più «facile», al Mabhouh, certamente meno protetto di Mughniyeh. Un caso che è diventato un grande intrigo internazionale a causa dell’uso spregiudicato di passaporti europei ma anche per l’uso di numeri di cellulari austriaci (proprio come avevano fatto alcuni attentatori di Mumbai).
Non solo. Il capo del Mossad rischia di trascinare nel baratro anche i suoi collaborazionisti arabi. Nella rete delle indagini della polizia di Dubai sono finiti anche due palestinesi, Ahmad Hasnain e Anwar Shekhaiber, entrambi ex funzionari degli apparati di sicurezza dell’Anp di Abu Mazen, già in carcere nell’Emirato dopo essere stati arrestati in Giordania. Originari di Gaza e fuggiti quando Hamas ha preso il potere nella Striscia, si erano riciclati come «businessmen» ma, evidentemente, hanno continuato a svolgere il loro incarico contro Hamas collaborando direttamente con il Mossad.
Il loro ruolo, denuncia Hamas, sarebbe la prova del «profondo coinvolgimento dell’Anp» nella morte di Mabhouh. Ma anche il movimento islamico deve guardare al suo interno. Uno dei suoi capi militari, Nehru Massoud, un fedelissimo di Khaled Mashaal, sarebbe finito in galera in Siria perché sospettato d’essere la vera talpa dell’operazione Mabhouh. «E’ una menzogna», ha detto un portavoce dell’ufficio siriano di Hamas. Ma la posizione di Nehru Massoud resta tutta da chiarire.

19.02.2010 – Il manifesto –