Vedo nero e ho ragione | L’espresso
1 Febbraio 2010Vedo nero e ho ragione | L’espresso.

Lapidaria la scritta sul muro in via De Amicis: ‘Un Paese ignorante è più facile da governare’. Potrebbe averla fatta lui, Giorgio Bocca: abita a due passi. Ma ad agosto farà 90 anni, non va in giro la notte con la felpa da writer. E però: quello stile chiaro e duro, pane al pane. Il suo ultimo libro, che è poi sempre il penultimo, s’intitola ‘Annus horribilis’ (in uscita da Feltrinelli). È l’espressione usata dalla Regina Elisabetta nel 1992 dopo l’incendio al castello di Windsor, e sorprende in un vecchio azionista intriso di spirito repubblicano. Ma horribilis il 2009 lo è stato; né il 2010 si annuncia mirabilis. Bocca ci racconta perché. Da feroce pessimista, da antitaliano. Citando anche Mussolini, se serve: “La razza italiana è una razza di pecore”. Aveva ragione il Crapa? “Un po’ sì”, sogghigna.
Caro Bocca, per mesi gli italiani sono stati bombardati dalle brutte storie di Berlusconi. Dal sesso all’attentato. È iniziata la discesa della sua parabola politica?
“Domanda da un milione di dollari. È difficile rispondere”.
Il 2009 ha lasciato qualche crepa. Il Papigate, i processi del premier, gli attacchi alla stampa, le bugie sul fisco.
“Prudenza. Ai tempi di Mussolini dicevano nei caffè: non dura, sta male, muore domani. È durato vent’anni. Io mi faccio un’altra domanda, da molto tempo: in quale misura Berlusconi è responsabile del deterioramento della politica italiana, e in quale misura lo sono gli italiani. Bisogna valutare l’importanza della personalità nella politica. Il capitalismo liberista sarebbe arrivato anche senza Berlusconi; ma Berlusconi lo ha potenziato. Contano molto, le personalità, in politica come nell’industria: pensiamo a Valletta, a Mattei, oggi a Marchionne”.
In vista della successione c’è Gianfranco Fini che scalpita. Lei ha superato le pregiudiziali sulla sua storia politica?
“Io dico: state attenti. Lo dicevo già anni fa. A me fa piacere che Fini oggi difenda le istituzioni e le regole della democrazia. Sono dichiarazioni onorevoli. Ma non mi fido del tutto. Fini è un principe del trasformismo, che è un vizio nazionale spaventoso. Suo padre, volontario della Rsi, divenne socialdemocratico. E lui da giovane, per far carriera politica, non esitò a legarsi anche a figure della Repubblica di Salò”.
Dispettoso. Fini è così di moda…
“La mia educazione è di tipo rigorista”.
Berlusconi dice: se cado io cade lui.
“Anche Craxi avvertì Berlusconi: attento a Fini. È un trasformista pronto a tutto”.
E la Lega, il partito dei duri e puri?
“Buoni, quelli. Bossi diceva ‘Berluskazz’, fascista, amico dei mafiosi”.
E Servan-Schreiber, il fondatore dell”Express’: “Chi non cambia idea è uno stupido”. Lo ricorda lei nel libro.
“Quella volta, al Piccolo Teatro, capii che Servan-Schreiber era un cialtrone”.
È horribilis anche l”alta ruffianeria’?
“Penso a certe piccole donne nominate ministre: ce n’è di terribili. Quella Brambilla. La pochezza, la modestia”.
Non sarà maschilismo piemontese?
“Mah, Mario Soldati spiegava con la piemontesità certi miei attacchi ai meridionali sui guai del Mezzogiorno. Ma qui è diverso. Alcune di queste sono penose. C’è quella piccoletta, come si chiama, ministro della Gioventù…”.
La ministra Giorgia Meloni?
“Quella è cattiva. Perfida. Ha mandato al ‘Giornale’ una lettera su di me carica di insulti. Avevo scritto un pezzo su certe gallinelle che alla vista di Berlusconi gonfiano il petto. Quanto si è incazzata”.

Berlusconi, il sultano.
“Lui è così. È nature. Si dice il più bravo, il più bello. Bellissimo. Mi sembra esagerato. È come i grandi capitalisti americani, la famiglia Hilton: esiste solo il guadagno, l’affermazione personale. Berlusconi è più sincero di altri. Ama sinceramente il peggio. Con il potere che ha, potrebbe fare un giornale ambizioso, invece pubblica ‘Chi’ come house organ, perché gli è utile politicamente”.
Il nuovo Hilton non combatte il debito pubblico. E fa soffrire Tremonti.
“Tremonti credo si renda conto che quel modo di far politica è negativo. Ha dato le dimissioni, e Berlusconi si è rimangiato la promessa delle due aliquote. Divertente Scalfari, che ha sognato un Tremonti impegnato a riproporre l’economia delle corporazioni…”.