Intervista a Michelle Perrot: «No al burqua ma diffido della legge»
4 Marzo 2010di Anna Tito – L’Unità –
Negli uffici e negli spazi pubblici, quindi in treni, autobus, ospedali, uffici comunali, nonché in strade e parchi, il burqa, velo integrale, va messo al bando, in quanto «offende i valori della Repubblica» degradando la donna, dissimulando volti e corpi. Lo ha stabilito a fine gennaio la commissione parlamentare francese, istituita ad hoc. Hanno lavorato in grande armonia il deputato comunista André Gerin ed Eric Roult, del partito di Sarkozy, mentre i socialisti non si sono pronunciati. «Il burqa non è benvenuto in Francia» ha annunciato il tentennante Presidente in giugno, ma nulla si deciderà prima delle elezioni regionali.
Combattiva, e decisamente contraria a una legge si dichiara la storica «delle donne», Michelle Perrot: «Sono, com’è ovvio, decisamente ostile al burqa, ma non favorevole a una legge» esordisce con noi.
Per quale motivo?
«Perché l’intrusione del potere nella comunità musulmana potrebbe ritorcersi contro le donne. E diffido anche dell’intervento del potere in tutte le questioni delle apparenze, poiché ritengo che, legiferando oggi sul burqa, un domani si potrà farlo sulla barba o sui pantaloni. Contro il burqa promuoverei libri, trasmissioni, articoli, insomma tutto quanto possa servire a dimostrare che il velo integrale rappresenta l’oppressione delle donne».
Nel 2004 però si dichiarò favorevole alla legge Raffarin, approvata con un’ampia maggioranza, che proibiva il foulard a scuola, nonché tutti i simboli religiosi “ostensibili”: dalla kippa ebraica fino al turbante sikh e alle croci cristiane.
«In Francia la scuola pubblica è laica e nessun simbolo religioso ostensibile vi va ammesso, e ritengo che questa sia una conquista per le donne. Nel caso specifico del foulard, si trattava di minorenni. Se avessero autorizzato il velo a scuola, alcune fanciulle sarebbero state costrette dalla famiglia a portarlo, mentre noi davamo loro si davamo loro la possibilità di non farlo. E mi sembra che oggi ben poche ragazze a scuola portano il foulard».
Ma va considerato che dal 2004, ovvero dalla legge contro il velo a scuola, l’islamismo ha continuato a prosperare.
«Certo, si tratta di movimento di fondo che riguarda l’integralismo islamico. Detto questo, va anche ridimensionata la questione sulle donne che in Francia portano il burqa, circa trecentocinquanta, più o meno. Non avrebbe senso promulgare una legge per così poche persone. Tutte le religioni comportano un elemento di dominazione di tipo patriarcale. Da questo punto di vista la laicità a scuola si è rivelata positiva per le donne, e perciò difendo questo modello».
In questo periodo la Francia va interrogandosi sull’identità nazionale: le discussioni sul burqa e sull’identità della Francia sono forse una coincidenza?
«No. Riscontro un reale smarrimento, perché la popolazione francese deve affrontare un problema nuovo, al tempo stesso di “rinascita” dell’islamismo e dell’immigrazione, ma anche sulla posizione del governo che mette l’accento su tali questioni. E il dibattito sull’identità nazionale è stato avviato in maniera disastrosa, in maniera autoritaria. Mi sembra che agire in questa maniera alla vigilia delle elezioni regionali sia una vera e propria strumentalizzazione».
Come spiega il fatto che ad esempio in Gran Bretagna il burqa non crea alcun problema?
«Ci troviamo di fronte a costruzioni politiche diverse. Ma non si può fare il confronto: in Francia abbiamo assistito alla costruzione di una repubblica laica, che ha vantaggi e inconvenienti. Riconosco che è rigida, non sempre si adatta all’attuale congiuntura – fatta di movimenti migratori, dell’accoglienza del “diverso” – ma costituisce comunque un progresso».
«Djemila Benhaid, algerina rifugiata in Canada e autrice di “Ma vie à Contre-Coran” è intervenuta in Senato nello scorso novembre sostenendo che la Francia svolge un ruolo centrale per la laicità, e che se non apre una strada contro il burqa, spiana la strada agli integralisti dell’Europa tutta. È d’accordo con lei?
«Sì, certo, tutte si dichiarano favorevoli a una legge contro il burqa. Noi ci facciamo troppi scrupoli: dovremmo sostenere con maggiore forza la nostra tradizione di laicità. Djemila Benhaid è un esempio di quelle donne algerine che ritengono “tiepido” il nostro approccio al problema, anche perché l’hanno anche vissuto sulla loro pelle».