La ‘ndrangheta e l’altro senatore in Sudamerica
10 Marzo 2010e barrarle.
La storia è vecchia, la raccontò in diretta proprio La Stampa, a poche ore dall’apertura delle urne in quell’aprile del 2008. L’allora procuratore della Repubblica di Reggio Calabria andò a Roma, dal ministro dell’Interno Giuliano Amato, per denunciare che erano in corso dei brogli elettorali in Venezuela, nella circoscrizione America Latina. Il ministro Amato dettò poi alle agenzie di stampa: «Ritengo che le misure adottate dalla Farnesina abbiano prevenuto il danno».
In sostanza, indagando sugli affari della famiglia Piromalli di Gioia Tauro, gli inquirenti si imbatterono in alcune conversazioni telefoniche tra due personaggi: Aldo Miccichè e Marcello Dell’Utri. Aldo Miccichè, calabrese, democristiano nella Prima Repubblica, complessivamente ha sommato 25 anni di «cumulo pena» per diversi reati. Un faccendiere trapiantato in Venezuela. Il senatore Marcello Dell’Utri nell’aprile del 2008 ridimensionò la portata dei rapporti con Miccichè.
«Provvederò che presso ogni consolato ci sia la nostra presenza segreta per i cosiddetti voti di ritorno». E’ il passaggio chiave di una intercettazione telefonica dell’8 marzo del 2008 (ore 2,19) tra Miccichè e Dell’Utri. Il piano è semplice: fare l’incetta di schede bianche e votarle. «Ho valutato le spese per tutti i dieci Paesi… complessivamente mi servono 60.000 euro…». E Marcello Dell’Utri rispose: «Benissimo…».
Un passaggio dell’atto di accusa contro la famiglia Piromalli: Gioacchino Arcidiaco – amico di Antonio Piromalli, figlio di Giuseppe, detenuto, sottoposto allo speciale regime detentivo di cui all’art. 41 bis, capo di una delle più potenti ’ndrine insediate nella Piana di Gioia Tauro – doveva incontrare l’onorevole Dell’Utri per prospettargli talune situazioni che riguardavano la famiglia Piromalli e sollecitare un suo intervento. Il 2 dicembre 2007 viene intercettata una chiamata telefonica nel corso della quale Arcidiaco, in vista di questo importante incontro, chiede lumi ad Aldo Miccichè, ex uomo politico da tempo residente in Venezuela.
«Voglio capire in che termini mi devo proporre», domanda Arcidiaco. Miccichè non ha al riguardo alcun dubbio: «La Piana … la Piana è cosa nostra facci capisciri… il Porto di Gioia Tauro lo abbiamo fatto noi, insomma! Hai capito o no? Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra è successo tramite noi, mi hai capito?…». E, per spiegarsi meglio, aggiunge: «Ricordati che la politica si deve saper fare… ora fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica o si muove sulla Ionica o si muove al centro, ha bisogno di noi… hai capito il discorso? E quando dico noi intendo dire Gioacchino ed Antonio, mi sono spiegato?». Parole che testimoniano non solo di quanto sia esteso, profondo e ramificato il potere mafioso esercitato dalla famiglia Piromalli – ai cui componenti Antonio e Gioacchino fa esplicito riferimento Miccichè nel corso della citata conversazione – ma anche e soprattutto quali capacità di proporsi verso l’«esterno, addirittura al livello istituzionale nazionale, tale famiglia possa vantare».