La sfortuna di chiamarsi Silvio-Berlusconi

27 Marzo 2010 0 Di luna_rossa

Raccontano le cronache che in quel di Modena un operaio di origine ghanese ha voluto battezzare il minore dei suoi figli col nome Silvio-Berlusconi. L’augusto nome, spera l’operaio, porterà al figlioletto tanta fortuna che da grande diventerà un politico degno di cotanto personaggio.

Ma noi siamo preoccupati. Ora che è bambino non si chiede perché delle volte c’è chi rimane stupefatto e chi ride a sentire il suo nome di battesimo. E pensa, il piccino, che è solo per pigrizia che all’asilo la maestra e i compagni lo chiamano Silvio e basta. Ma chissà che trauma subirà quando, da adolescente, si renderà conto di ciò che significa davvero quel nome. Fra dieci anni, allorché, per una crudele legge biologica, Papi se ne sarà bell’e andato, al poveretto resterà il peso di un nome greve e forse rimosso o dimenticato.

Mettiamo che fra dieci anni il ragazzo, che fino a quel momento non si è posto il problema, voglia documentarsi su quel nome morto. E scopre che, per una legge della storia e della linguistica, crudeli quanto la biologia, il significante, ormai privo del significato, si è come incollato a certe parole: impero mediatico, Licio Gelli, conflitto d’interessi, Vittorio Mangano, Marcello Dell’Utri, unto del Signore, Sor Bandana, escort, veline, culto della personalità, scandali, immunità, leggi ad personam, Banana Republic…Il povero Silvio-Berlusconi di sicuro rimane basito, forse sconvolto. Fino allora l’ingenuità infantile gli ha fatto supporre che il babbo, che ha un passato da cantante hip-life, lo abbia battezzato così in onore di un altro cantante, ma da crociera. Oppure che abbia voluto augurargli un futuro da calciatore dandogli il nome del proprietario-presidente del Milan. Ma ora il ragazzo inorridisce scoprendo a quali volgarità, a quali misfatti, a quali grottesche stravaganze il suo nome è legato.

Più approfondisce e più s’indigna. Viene a sapere che il quarto governo Berlusconi fece le leggi razziali. Non quelle di Benito Mussolini, un altro del quale si usava dare il nome ai figli, ma delle leggi simili, chiamate pacchetto-sicurezza. S’indigna ancor di più quando realizza che è per colpa di quelle leggi che suo padre fu rimandato in Ghana. Quando lui era ancora bambino, fu licenziato, cercò in lungo e in largo un altro lavoro, non lo trovò a causa della crisi. E così – comprende solo ora il ragazzo – perse il permesso di soggiorno e fu espulso. Lui ancora lo aspetta, ma ha quasi perduto la speranza.

Si chiede con angoscia perché mai il padre, che non è stupido, gli abbia dato quel nome infausto. Forse, si dice, gli avevano a tal punto riempito la testa con la storia dell’integrazione che scelse per lui il nome più integrato.

Che paradosso, pensa il ragazzo. Quel nome ha portato sfortuna al babbo e a lui stesso, rimasto senza padre. Così decide di cambiarlo: vuole chiamarsi semplicemente Mario o Giovanni oppure qualcosa come Jimmy o Alex, che vanno bene ovunque. Anche in Ghana, se mai un giorno dovessero espellere pure lui.

Annamaria Rivera – Liberazione.it