L’Europa si fa più dura

10 Marzo 2010 0 Di luna_rossa

La crisi greca non è ormai vissuta in Europa non come un episodio marginale e la discussione sui paesi europei che potrebbero non essere in grado di far fronte alla crisi finanziaria si fa sempre più intensa. Va detto che in questa discussione il nome dell’Italia ricorre sempre più frequentemente anche se finora nessuna notizia certa è emersa e il caso viene tenuto il più possibile riservato.
A riprova di questa situazione – del tutto marginale nel dibattito politico e del tutto esclusa dall’agenda ufficiale – vi è la discussione circa la creazione di un Fondo monetario europeo, cioè di uno strumento che abbia funzioni analoghe a quelle svolte dal Fondo monetario internazionale su scala globale con simili poteri di intervento in paesi in difficoltà finanziarie e a rischio di fallimento. Formalmente la proposta è stata avanzata dal commissario agli Affari economici, il finlandese Olli Rehn. Ma dietro non è difficile vedervi la mano tedesca. E non solo perché la cancelliera Merkel l’ha definita «una buona idea». Ma perché, proprio l’ipotesi greca, lascia intravedere la necessità di pesanti interventi sui bilanci nazionali. E la Germania, alleata in questo con la Francia, vuole la garanzia che gli eventuali interventi che si renderanno necessari, per salvare situazioni ingestibili, dovranno effettuarsi con le dovute garanzie per l’equilibrio finanziario europeo. Le garanzie, il Fmi insegna, sono quelle solite: nettezza di intervento sulla spesa sociale, garanzia del capitale finanziario, risanamento rapido e il più possibile indolore per i bilanci dei paesi contigui.
«Per la stabilità dell’Eurozona, abbiamo bisogno di una istituzione che disponga dell’esperienza del Fondo monetario internazionale e di analoghi poteri di intervento» è stata l’indicazione del ministro delle Finanze tedesche Wolfgang Schaueble. La Germania, dunque, si è convinta che l’Unione monetaria non regge senza un maggiore coordinamento delle politiche economiche e senza uno strumento di gestione delle crisi. Domani la Commissione ne discute apertamente nella riunione convocata a Strasburgo. Tra una settimana toccherà ai ministri dell’Eurogruppo entrare più nel merito della definizione del Fme. Che avrà alcune coordinate nette: ricette fiscali ed economiche dure, intrusione diretta nelle scelte nazionali come contropartita degli esborsi finanziari. In una parola, quei principi sui quali si muove, appunto, il Fondo monetario internazionale. Del dettaglio si sa poco o nulla: il Fondo del quale sarebbero azionisti i paesi dell’Eurozona agirebbe in stretto collegamento con l’Eurogruppo, si prevedono sanzioni nel caso in cui il paese assistito non rispettasse gli impegni assunti (dalla soppressione delle sovvenzioni Ue fino alla sospensione dei diritti di voto nel Consiglio). Soprattutto non è chiaro qual è il meccanismo di intervento e da dove arriverebbero le risorse: tra le opzioni che circolano l’apporto di fondi da parte degli stati aderenti per concedere prestiti, fornire garanzie alle emissioni di bond pubblici.
Il dibattito quindi lascia prevedere una forte innovazione sul piano europeo in direzione di quella Unione politica – ma solo sul piano finanziario – che possa sbloccare la situazione di impasse in cui la Ue si trova ormai da qualche anno. E, in piena aderenza ai rapporti di forza internazionali e agli effetti della crisi, si tratterebbe di uno sblocco verso destra.

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