Rinaldini: «Questo governo sta accompagnando il Lingotto nelle sue scelte»
26 Marzo 2010«Preoccupanti e inaccettabili»: così Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom Cgil, definisce le indiscrezioni sul piano strategico per il 2010-2014 che la Fiat presenterà il prossimo 21 aprile. Lo scenario che si delinea per l’Italia è drammatico: fabbriche più piccole e quasi 5mila dipendenti in meno. La casa torinese parla di «anticipazioni prive di fondamento», ma è chiaro che questa smentita di facciata – peraltro dovuta, per un gruppo quotato in borsa – non cancella gli interrogativi sul futuro dell’auto in Italia. «E’ dall’incontro di Palazzo Chigi del 22 dicembre – denuncia Rinaldini – che aspettiamo di discutere le scelte industriali della Fiat. Non è possibile che si arrivi al 21 aprile senza che si apra il confronto sindacale. Noi faremo tutte le iniziative necessarie per ottenerlo, ma è chiaro che se non ci viene data questa possibilità, anche quella del 21 diventerà una giornata problematica». Il leader delle tute blu Cgil sottolinea l’assenza di una regia politica in questa vicenda: «Questo governo – accusa – di fatto ha accompagnato e sta accompagnando la Fiat nelle sue scelte».
Cosa avrebbe dovuto fare il governo che non ha fatto?
In primo luogo, ricordo a tutti che l’incontro del 22 dicembre si concluse con l’impegno del sottosegretario Letta sul fatto che ci sarebbero stati successivi momenti di confronto sul piano generale illustrato da Marchionne. Da allora non c’è più stato nessun incontro.
Per la verità un tavolo c’è, quello su Termini Imerese, l’impianto siciliano che smetterà di produrre auto nel 2011. Del resto, secondo il governo, sarebbe questo l’unico punto negativo del piano Fiat.
Parlo di un confronto sul piano generale. Gli incontri su Termini Imerese sono invece finalizzati all’esame di ipotetiche soluzioni alternative per questo stabilimento, sempre relative al settore dell’auto e che, per quanto ci riguarda, hanno significato se danno risposta complessiva all’occupazione di tutti i lavoratori, compresi quelli dell’indotto. Qualora non ci fossero altre soluzioni, per noi rimane fermo il fatto che la Fiat deve continuare a Termini Imerese. Peraltro le indiscrezioni di stampa non fanno altro che confermare quella che già era la nostra sensazione. E cioè che da parte della Fiat c’è la volontà di rendere sempre più marginale il ruolo della produzione, della ricerca, dell’innovazione nel nostro paese. Trasferendo il proprio baricentro oltre oceano e aprendo stabilimenti altrove, l’ultimo in Serbia.
Alfredo Altavilla, membro del board di Chrysler, continua a ripetere che «la testa, il cuore e il cervello di Fiat resteranno in Italia». Intanto però la 500 elettrica verrà prodotta negli Stati Uniti…
Sull’alleanza con Chrysler è bene essere chiari: è evidente infatti che il percorso aperto con gli americani ad un certo punto porterà alla creazione di un’unica società, sempre che l’operazione vada a buon fine. Ecco perché si parla del cosiddetto “spin off”, ossia lo scorporo del settore auto dal resto del gruppo. La decisione di fare la 500 elettrica negli Stati Uniti, lo spostamento della produzione dell’Alfa e della Lancia fuori dai nostri confini, sono scelte che rientrano in questo quadro e che configurano non solo un ridimensionamento ma credo, in prospettiva, una marginalizzazione del ruolo del nostro paese.
Fiat invece sostiene che la produzione di auto in Italia aumenterà del 50%, dalle attuali 600mila a 900mila.
Non è vero. Il confronto non può essere fatto con i livelli di produzione nell’anno della crisi. La verità è che prima la Fiat produceva in Italia più di un milione di vetture, mentre ora vuole arrivare a produrre 5-6milioni di automobili nel mondo e solo 900mila in un paese dove si importano un milione di auto ogni anno. La marginalizzazione mi pare evidente, tanto più grave perché avviene in un settore strategico: non esiste paese industriale che non abbia un settore dell’auto importante.
Quindi il trasferimento della Panda dalla Polonia a Pomigliano sarebbe solo la “foglia di fico” per giustificare l’intera operazione di delocalizzazione…
E’ positivo che la Fiat dica con elementi di certezza che cosa voglia fare a Pomigliano. Detto ciò, il problema delle strategie della casa torinese rimane per intero. Per questo, insisto, è necessario che il governo convochi le parti sul piano industriale complessivo del Lingotto prima del 21 aprile. E il confronto dovrà riguardare l’insieme della filiera produttiva, dove ci sono perfino più lavoratori che nella fabbrica di assemblaggio. Che cosa succederà alla Fma di Avellino, dove si producono i motori? Che fine faranno le aziende dell’indotto? Anche a queste domande Marchionne dovrà rispondere.
La casa torinese però non ci sta a passare per “antitaliana” e rivendica di avere fatto «ricorso a 30 milioni di ore di cassa integrazione nel 2009» pur di evitare i licenziamenti. Come rispondi?
Intanto non è vero che la Fiat non abbia fatto licenziamenti, perchè sono migliaia – non centinaia, migliaia – i precari che sono stati lasciati a casa in questo periodo. Anche se, in base alla legislazione sul lavoro che è stata costruita, la casa torinese può sostenere, ma solo da un punto di vista formale, di non averli licenziati. Dopodiché non solo la Fiat ha fatto ampio ricorso alla cassa integrazione senza alcun contributo e integrazione, a differenza di quanto hanno fatto alcune grandi aziende del nostro paese, ma ha anche avuto il cattivo gusto di concedere lauti compensi ai propri manager e dividendi agli azionisti a fronte di gente che percepisce 750 euro al mese. Cosa che trovo, anche moralmente, un po’ vergognosa.