Tutti sul camion, un fuori onda da record

3 Marzo 2010 0 Di luna_rossa

Matteo Bartocci, Micaela Bongi  per  Il Manifesto –

 Ballarò stavolta comincia in piazza. Con Floris in cima a un camion di fronte agli studi Rai di via Teulada che avrebbero dovuto essere aperti, come di consueto, per il programma di Raitre e per Porta a Porta, e invece, causa decisione senza precendenti presa martedì dal vertice di viale Mazzini, tutti fermi e zitti: c’è la campagna elettorale. E così, mentre per tutta la giornata fioccano adesioni, davanti ai famosi studi si allestisce in tutta fretta il set della manifestazione lanciata all’impronta dalla Federazione della stampa e dall’Usigrai, una talk-show on the road. Titolo Riaccendiamo tutto, come dice il maxischermo con scritto power, sistemato sopra il camion che fa da palco.
Sul vidiwall, anche i loghi dei due programmi di approfondimento Rai del martedì, ma non si vede Bruno Vespa, che dalle colonne del Corriere della
sera
non trova di meglio che prendersela con Michele Santoro, «l’Attila
della par condicio», per il digiuno informativo forzato imposto a tutti. E vabbé.
E invece, dopo un’ora e mezza, Carramba che sopresa, ecco che il conduttore di Porta a Porta, prima fischiatissimo, arriva. In quel momento Santoro sta parlando proprio di lui che, non visto, ridacchia. E poi viene invitato a salire sul palco, col suo impermeabile beige come quello di Attila.
Applausi per tutti, qualche contestazione a Vespa che bacchetta la superstar
Santoro. Ci sono Giovanni Floris e Gianluigi Paragone in collegamento, i
conduttori oscurati da viale Mazzini in nome della zero condicio in prima e seconda serata. Gli altri potranno andare in onda, preferibilmente  concentrandosi sulla botanica e il collezionismo per non incappare nella politica proibita. Ci sono Andrea Vianello, Riccardo Iacona, Corradino Mineo, Piero Badaloni, Sabina Guzzanti, Maurizio Crozza in collegamento con la sua «copertina». Invece Vauro ha dovuto cestinare la sua vignetta sul Pdl «perché ha sbagliato le liste». Arrivano i politici, spunta a sopresa anche Fausto Bertinotti, con Paolo Gentiloni, Bruno Tabacci, Rosy Bondi. E questa volta arriva anche Pierluigi Bersani, perché la decisione della Rai «è agghiacciante, si chiude
la bocca alla società, ci mettiamo in una situazione sconosciuta a qualsiasi paese civile», ma «questi colpi possono suscitare una reazione anche nella
coscienza collettiva».
Si mobilitano l’Idv, Articolo 21, il popolo viola, la Cgil, le Acli. E il presidio improvvisato diventa una grande manifestazione. La strada è stracolma.
Bandiere, cartelli, cori (gettonatissimi quelli sul direttore del tg1 Augusto
Minzolini). La protesta del resto monta nel corso del pomeriggio. Tuonano,
contro la decisione del settimo piano, i dirigenti della tv pubblica dell’Adrai,
perché «si rischia di soffocare una volta per tutte l’azienda». Mentre David
Sassoli, Luigi Zanda, Nichi Vendola e Rita Borsellino chiedono l’intervento dei presidenti delle camere e delle autorità di garanzia «per liberarci dal bavaglio».
Fischiano le orecchie ai consiglieri d’amministrazione, quelli di Pdl e Lega che hanno votato appunto la delibera «bavaglio» proposta dal dg Mauro Masi e che, di fronte alla protesta montante, azzardano la solita giustificazione:
il regolamento sulla par condicio approvato dalla di vigilanza era molto restrittivo, e se non fosse stato applicato nelle virgole l’azienda e i suoi responsabili avrebbero rischiato «sanzioni penali ed economiche». Meglio tagliare la testa al toro.
Ma contro lo stop ai talk show votato anche dal consigliere sponsorizzato da Gianfranco Fini, Guglielmo Rositani, si scaglia pure la finiana Fondazione Farefuturo: «Cancellare la politica come se fosse la cosa più sporca del paese. Uccidere la politica. È ciò che sta succedendo…», è un fiume in piena Filippo Rossi, il direttore del magazine messo all’indice da Bondi. E pure Luca Barbareschi, deputato finiano e uomo di tv, insorge (cancellato anche il suo
programma su La 7): «Ci siamo risvegliati in una dittatura. Perché non  impedire
ai cittadini anche di uscire di casa in campagna elettorale?».
La versione del Pdl non finiano è che sì, è accaduta una cosa «assurda» –
ammette il berlusconiano stretto Mario Valducci – ma solo perché esiste la legge «bavaglio» sulla par condicio, che dunque va cambiata. Peccato che in dieci anni di par condicio – che pure non è un capolavoro (e Bersani dice che potrebbe pure essere cambiata, ma non ora) – non si era mai arrivati all’oscuramento
dei talk show. Ma poiché di quella legge la commissione di vigilanza ha potuto dare le più fantasiose interpretazioni, attraverso i regolmenti predisposti per le tornate elettorali, ecco che il Pdl ha prima colto l’occasione offerta in commissione dal testo stilato dal radicale Beltrandi e poi, con i suoi esponenti nel cda Rai, sferrato il colpo di grazia all’informazione.
Ma la prima risposta arriva da via Teulada. E se chiudono pure Vespa, «vuol dire che qualcuno nel governo non capisce più gli italiani, sarà un boomerang», prevede Lucia Annunziata. Va forte l’idea, lanciata da Santoro, di un programma collettivo per il 25 marzo, a tre giorni dal voto. Sono già pronti a trasmetterlo Youdem, la web tv di Sinistra ecologia e libertà, il blog di Antonio Di Pietro. Insomma, si può realizzare «una grande trasmissione con un network popolare fatto di radio, tv, blog», rilancia il portavoce di Articolo 21 Beppe Giulietti.
Dal canto suo, Floris dice che «più in basso di così non si poteva andare», ma non dispera di poter andare in onda anche su Raitre. Perché «il regolamento,
fatto male e un po’ stupido, parla di prima e seconda serata. Con il direttore di rete Di Bella cercheremo altri spazi… Intanto al posto di Ballarò andrà in onda un documentario sul fascismo. L’ha scelto Di Bella, che è uomo di grande intuito».