«Pdl Italia», la conta è partita: 68 parlamentari pronti allo strappo
16 Aprile 2010Berlusconi sappia che se io devo lasciare la presidenza della Camera, lui dovrà lasciare la presidenza del Consiglio. Ma non è questo che voglio, non voglio la crisi di governo né di maggioranza. E infatti, Gianni, Silvio a me non ha chiesto dimissioni e tu non puoi dire il contrario, perché sei stato testimone del nostro colloquio». Quando volge al termine la giornata più difficile nel pluridecennale rapporto con Berlusconi, al telefono con Gianni Letta Gianfranco Fini non chiede solo che si smentisca la voce che circola, ma prova ancora a spiegare le sue ragioni. Quelle stesse che ha spiegato a ora di pranzo a Berlusconi. Lo fa anche, subito dopo con La Russa e Matteoli, i suoi ex colonnelli passati di là: «Guardate che io faccio il presidente della Camera, non voglio posti e non faccio richieste per me. Mi faccio carico di una responsabilità: ho messo il mio partito nel Pdl, ma quella gente, quelle istanze, quella destra nel Pdl non c’è. E non posso permettere che siano buttati a mare cinquant’anni di storia. Possibile che Berlusconi non lo capisca?».
Parla al telefono, Fini, di fronte ai molti suoi fedelissimi autoconvocati nel suo studio quando, dopo aver covato per mesi sotto la cenere, ieri a pranzo lo scontro tra i due fondatori del Pdl è esploso in tutta la sua violenza finale. Fini il freddo, Fini il prudente, a tavola si è ritrovato infatti a minacciare a Berlusconi quel che fino a poche ore prima negava di voler fare nell’immediato: «O ti siedi con me e vediamo come fare in modo che io possa contare realmente nelle decisioni e nel Pdl, o sono pronto a fare miei gruppi parlamentari autonomi», è stata la sua conclusione del pasto. Uno spettro scissionista che sempre è aleggiato in questi mesi, ma che soprattutto dopo le elezioni, è parso all’ex leader di An «fuori luogo, perché gli spazi si sono ristretti». A fargli cambiare idea, ieri, l’atteggiamento di Berlusconi.
«Mi è venuto a fare il comizio, capite?» ha spiegato poi ai suoi. «Il comizio, lui, a me, che faccio comizi da una vita». A Berlusconi, infatti, come altre volte, l’ex leader di An aveva spiegato che «non possiamo andare avanti così, a colpi di slogan, mentre tu ti occupi soltanto del governo e porti il Pdl ad appiattirsi sulle richieste della Lega. Non possiamo andare avanti così, con Calderoli che tra una canzone e una barzelletta mette sul piatto la riforma presidenziale di cui parliamo da anni. Con un partito nel quale il dibattito non esiste oppure viene criminalizzato, senza che si mettano a tema questioni fondamentali come quella della Sicilia, dove da un anno esistono due Pdl senza che il partito se ne occupi. Per non parlare del tuo Giornale, che mi dipinge come un traditore ogni giorno, e di tutte le decisioni che non hai condiviso».
La questione, a sentire coloro che con Fini hanno parlato prima dell’incontro, doveva aprire la strada anche a una ridiscussione dei pesi interni al Pdl, nel quale il teorico 70-30 da spartirsi tra ex Fi ed ex An si è di fatto trasformato, complici le defezioni dei La Russa, dei Gasparri e dei Matteoli, «in un 90 a 10 per Berlusconi». Ma non si è arrivati nemmeno a discutere di questo. Il Cavaliere, infatti, ha minimizzato («la Lega la tengo sotto controllo io, e tu sarai il grande riformatore»), provocando la reazione di Fini. «Mi ha fatto la solita cantilena, come se nemmeno mi ascoltasse», ha spiegato poi. Ma non è più epoca di cantilene. Soprattutto per via del fantasma che il presidente della Camera ha visto alzarsi dietro la nenia berlusconiana: quello della marginalizzazione senza ritorno.
Da qui al concretizzarsi dei gruppi autonomi (Pdl-Italia, il nome) il passo è diventato improvvisamente brevissimo. Molti finiani si sono materializzati nello studio del presidente (tra i ministri, solo Ronchi). Ed è partita subito la conta. Alla Camera 50 e 18 al Senato, secondo la voce più accreditata (e più ottimistica, perché c’è chi cala a 45 e 8). Insieme a qualche defezione di presunti fedelissimi (Berselli, Gamba, Caruso e Gramazio), proprio da Palazzo Madama, dove per ammissione dei finiani «abbiamo problemi di numeri». Una strada che a prenderla sul serio non esclude nessuno scenario: perché, come ha detto Fini ai suoi «ho fondato un partito, sono pronto a fondarne un altro». Una strada che però è in stand by fino a lunedì. Nella speranza di una ricomposizione finale, che Fini coltiva, nonostante tutto.