La forza della nonviolenza

18 Aprile 2010 0 Di luna_rossa

Era il 21 settembre del 2001, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush lanciò un ultimatum ai talebani accompagnato da chiare richieste: consegnare tutti i leader di al-Qaeda in Afghanistan agli Stati Uniti, liberare tutti i prigionieri di nazioni straniere, inclusi i cittadini statunitensi, proteggere i giornalisti stranieri, i diplomatici e i volontari presenti in Afghanistan, chiudere i campi d’addestramento terroristici in Afghanistan e consegnare ciascun terrorista alle autorità competenti, garantire libero accesso agli Stati Uniti ai campi d’addestramento per poter verificare la loro chiusura. E poi la guerra, che dura da 9 anni. Come ogni guerra semina morte, sangue, vittime, ingiustizie, e soprattutto rende tutto più difficile e complicato, tutto più oscuro e ingestibile. E’ chiaro che questa guerra non ha raggiunto obiettivi significativi, ma ha calpestato la verità, ha calpestato la giustizia, ha calpestato la libertà, ha calpestato la legalità, la libertà, i diritti umani e soprattutto ha calpestato le persone che abitano quella terra. Non ci si poteva aspettare altro! Ha ingrassato contemporaneamente i mercanti di oppio e i mercanti di armi, gli avventurieri della violenza e i soldati in vendita.

Qualche mese prima, nel luglio del 2001, la società civile mondiale presenta ai grandi della terra un progetto per un mondo nuovo e possibile. A Genova i grandi del G8 vedono strade e piazze piene di persone e fanno di tutto per soffocare nel sangue e nel sopruso di stato un genuina e costruttiva prospettiva. Era la prova generale della strategia della guerra globale. Credo e affermo che Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani, come tanti altri e altre nel mondo abbiano semplicemente scelto di continuare quel progetto condividendo la strada di un popolo che vuole dignità e risposte semplici al vivere quotidiano da troppo tempo inascoltate: acqua, elettricità, scuole, lavoro, strade, cibo, libertà e dignità. Offrendo voce e piedi e mani al sogno di una comunità internazionale ferita che a 62 anni dalla Dichiarazione dei Diritti Umani vuole ritornare alla forza della legge e alla tutela della dignità di ogni persona e di tutti i popoli superando la tragedia di una sicurezza che cancella la libertà e di interessi che calpestano la giustizia. Scegliendo la nonviolenza come unica soluzione percorribile e capace di costruire speranza e rapporti nuovi e vitali.

Individuando nella riconciliazione e nella ricostruzione della fiducia l’unica via capace di limitare vendette dirette o trasversali.

Denunciando le tragiche conseguenze dell’uso delle armi e proponendo il disarmo e il rifiuto di ogni strategia terroristica e di guerra, santa, giusta, preventiva, umanitaria, di liberazione o di occupazione, sempre e solo “avventure senza ritorno”. Scegliendo la legalità e la lotta a ogni forma di criminalità organizzata capace di inquinare economie e democrazie. Prendendosi cura di ogni persona affinchè diventi ponte per il futuro e non racconto di sventure, piattaforma di sciagure e seminatore di tregedie. E i mezzi sono adeguati allo scopo: curare più che cacciabombardare, far camminare più che falciare, esserci più che scappare, capire più che obbedire, liberare più che imporre, cercare le ragioni delle vittime più che difendere i forti, parlare la loro lingua più che insegnare la nostra, abitare più che distruggere.

E’ la prospettiva quotidiana di chi sa costruire ponti, incontro, scambio, cooperazione, collaborazione. E’ lo sguardo disarmato dal basso: dei piccoli, delle donne, degli uomini, delle vittime di ogni violenza. E’ il nostro punto di vista da cui guardiamo e giudichiamo la politica, la storia, l’economia, la religione e la democrazia.

Mi dispiace che i nostri ministri si siano arrabbiati e si siano preoccupati di prendere distanza da chi ha rifiutato la logica militare del nemico/amico e ha scelto la logica umana del fratello/sorella. Non andranno molto lontano, anzi, più digrignano i denti delegittimando il bene, più si mostrano fragili e senza progetto se non quello di darsi ragione.

Ma la storia dell’Afganistan e del secolo iniziato li ha già collocati fra i perdenti. E questo brucia! Grazie Marco, grazie Matteo e grazie Matteo, si continua insieme.

Fabio Corazzina – Il Manifesto.it