Milano, nel Pdl c’è chi celebra lo squadrismo | Indymedia Lombardia

6 Aprile 2010 1 Di ken sharo

Milano, nel Pdl c’è chi celebra lo squadrismo | Indymedia Lombardia.

L’ingresso nel Popolo delle libertà di spezzoni organizzati del neofascismo rappresenta ormai una tendenza in diverse realtà. A Milano è un dato di fatto. Le conseguenze possono anche portare a situazioni a dir poco grottesche, come il 23 marzo scorso, quando in un comunicato di Roberto Jonghi Lavarini, esponente di punta di una delle due correnti che raccolgono neofascisti ed ex aennini nel Popolo delle libertà, Destra per Milano, (l’altra è Fare Occidente, guidata da Romano la Russa) si annunciava che in occasione del “91° anniversario” della fondazione dei “Fasci di Combattimento”, si sarebbe tenuta al cimitero Monumentale una “cerimonia in Onore dei Caduti della Rivoluzione Fascista presso il Sacrario dei martiri Fascisti”.
Secondo il comunicato, all’evento avrebbero partecipato, tra gli altri, anche un ex volontario della Legione Muti, tristemente famosa a Milano tra il 1943 e il 1945 soprattutto per le bestiali torture inflitte agli antifascisti nella caserma di via Rovello, in pieno centro, e un ex aderente alla Divisione delle Ss italiane.
Abituati alle commemorazioni del neofascismo milanese al Campo X del cimitero Maggiore, dove sono inumate le spoglie di alcune centinaia di repubblichini caduti, e non essendo a conoscenza dell’esistenza di alcun “Sacrario dei martiri Fascisti”, incuriositi da questa novità, ci siamo recati sul posto e abbiamo condotto una piccola inchiesta.
Da quel che abbiamo potuto accertare, risulterebbe che al cimitero Monumentale, fu in effetti eretto nel 1925, agli inizi del regime fascista, un sacrario, dove furono progressivamente raccolte le salme di tredici squadristi, non solo milanesi, morti in scontri di strada. A scolpirlo Armando Violi, morto nel 1931, autore, tra l’altro, dei cavalli alati in marmo che spiccano dalla facciata anteriore della stazione Centrale.
L’opera, tra il liberty e l’art déco, di qualche metro di altezza, era originariamente composta dalle statue di tre giovinetti in posa eroica, uno dei quali con in braccio un fascio littorio sormontato da un’aquila con le ali aperte. Alla base una targa con dedica. Nella parte posteriore, una ripida scaletta introduceva a una cripta. Nelle fotografie del 1940 il tutto è ancora ben visibile, seppur di difficile lettura l’iscrizione. Finita la guerra, con tutta evidenza, il fascio e l’aquila furono asportati, così la targa commemorativa. Posto oggi nel “Campo B rialzato di levante”, il monumento si confonde fra gli altri, senza particolari segni di riconoscimento.
La cripta rimane inaccessibile e solo il 26 aprile 1981 qualcuno, firmandosi “un gruppo di amici”, ha posto una nuova targa in bronzo “A perenne ricordo dei 13 giovani ventenni qui sepolti”, seguita dall’elenco dei nomi. Di alcuni di questi siamo riusciti a ricostruire le gesta, grazie sia allo studio di Mimmo Franzinelli “Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922” (Mondadori 2003), che ha anche stilato le biografie dei cento squadristi che “hanno impresso una spinta decisiva alla nascita e allo sviluppo dei gruppi paramilitari delle camicie nere”, sia alla “Storia della rivoluzione fascista 1919-1922” di Giorgio Alberto Chiurco, un’opera di regime, edita nel 1929. Ebbene, tra i nomi ospitati nel sacrario compare Ugo Pepe, il figlio ventunenne dell’ammiraglio Gaetano Pepe, studente di ingegneria al Politecnico di Milano, autore di diverse spedizioni punitive tra il Veneto e Milano (tentò anche, nel luglio del 1921, di far saltare a Treviso con tubi di gelatina la sede centrale del partito repubblicano). Ferito mortalmente nel capoluogo lombardo la sera del 23 aprile 1922 da due revolverate nei pressi di Porta Romana, spirò all’ospedale. I funerali si tennero al cimitero Monumentale, il 26 successivo, alla presenza di Mussolini e centinaia di squadristi lombardi, liguri e veneti. Forse proprio per questa ragione la nuova targa del 1981 è stata posta giusto il 26 di aprile.
Prima di Ugo Pepe erano comunque morti per “incidenti sul lavoro”: Aldo Sette, di diciassette anni, rimasto ucciso il 20 marzo 1921 nel corso di una spedizione al quartiere Greco, all’epoca roccaforte socialista, e Franco Baldini di 48 anni, colpito a morte con arma da fuoco a Roma, in trasferta, nel novembre 1921, durante gli scontri, proseguiti per quattro giorni, in occasione del congresso costitutivo del Partito nazionale fascista.
L’anno successivo, nella notte fra il 15 e il 16 luglio, era stato invece ucciso a Milano lo squadrista ventenne Eliseo Bernini, mentre, poche settimane dopo, il 4 agosto 1922, erano cadute tre camicie nere: il venticinquenne Cesare Melloni, il ventiduenne Emilio Tonoli e il trentenne Edoardo Crespi. I primi due durante l’assalto con bombe e fucili alla sede de l’Avanti!, il terzo in piazzale Procaccini. Il sansepolcrista Paolo Grassigli morì, infine, in uno scontro con i socialisti, ma non sappiamo in che data. A lui venne anche intitolata una piazza, dalle parti di Dergano, poi cancellata nel dopoguerra.
Della morte violenta di Orazio Porcu, avvenuta nel luglio 1930, dette invece notizia Il mattino illustrato. Nel numero anche un servizio sulle sue esequie. Delle modalità della fine dei rimanenti (Loris Socrate, Luca Mauri, Vittorio Agnusdei ed Enzo Meriggi), non siamo riusciti a scoprire nulla. Cercheremo notizie.
Ben oltre l’omaggio ai caduti fascisti o repubblichini, ci troviamo, in conclusione, di fronte a un gesto di esaltazione dello squadrismo. Di coloro che bastonarono e assassinarono con ferocia, protetti dagli apparati di polizia, dai carabinieri e dall’esercito, operai, contadini e dirigenti politici delle sinistre, assaltarono le Camere del lavoro e le sedi dei partiti democratici, cacciarono dai Comuni i sindaci regolarmente eletti, “marciarono” su Roma. Qualcuno morì nell’attuazione delle proprie imprese criminali. Pochi in verità.
Il mesto corteino che è sfilato nel primo pomeriggio di martedì 23 marzo, dentro il cimitero Monumentale, con corone dell’Uncrsi (Unione nazionale combattenti repubblica sociale italiana), aveva un che di surreale. Qualche labaro e pochissimi partecipanti. Non più di dieci. Magari ci sarà anche chi sorriderà a sentir parlare di simili commemorazioni. Noi no. A maggior ragione se coperte dal Popolo delle libertà.