Perché diciamo grazie

2 Aprile 2010 0 Di luna_rossa

di Carlo Lucarelli – L’Unità 02.04.2010

C’è un bel libro uscito da poco per ChiareLettere che raccoglie una serie di testimonianze di stranieri che lavorano in Italia. L’ha scritto Riccardo Staglianò e mette insieme le esperienze di tanti lavoratori stranieri –extracomunitari secondo l’etichetta, un po’ semplicistica come tutte le etichette, che diamo in Italia a chiunque venga da fuori o non venga proprio da nessuna parte ma sembri diverso. Camionisti, badanti, operai, lavori umili, di quelli che si dice sempre che gli italiani non vogliono fare, ma anche importanti e specializzati, di quelli che quella persona –straniera o italiana che sia- fa bene. Quello che vorrei far notare, però, non è solo il libro, ma il titolo che autore ed editore hanno scelto. Un semplice e bellissimo «Grazie». Spogliandolo da tutta quella retorica che i cattivi di solito definiscono buonista e che spesso si applica a sproposito a questi argomenti, a me sembra che quel titolo riassuma bene le cose. Perché oltre a ringraziare di cuore chi è venuto da un altro posto e con grande fatica a risolvere tante difficili situazioni in Italia – io non posso che dire grazie alla signora albanese che è stata con mia madre negli ultimi mesi della sua vita – focalizza l’attenzione su quello che la gente fa piuttosto che su quello che la gente è. In quel libro si parla di lavoratori. Eisiste un’altra categoria, che è quella dei criminali, che fanno altre cose, e che il fatto che siano rumeni, nordafricani o italiani è solo un elemento che serve a capire meglio le dinamiche dei problemi. Di solito è di questa che si parla dimenticando quell’altra metà del cielo –che molto di più di una metà, anzi- che è fatta di lavoratori che fanno bene il loro mestiere nonostante mancanza di diritti, difficoltà e bassi stipendi. A tutta questa gente, che lavora bene nonostante tutto, non possiamo che dire grazie.