La carta e le foreste

13 Maggio 2010 0 Di luna_rossa

In Indonesia, il presidente Susilo Bambang Yudhoyono ha annunciato qualche tempo fa che il suo governo farà piantare milioni di ettari di «nuove» foreste da qui al 2020: serviranno, ha detto, ad aiutare l’Indonesia a tagliare le sue emissioni di gas di serra. Le foreste infatti assorbono anidride carbonica, il principale tra i gas che alterano il clima, e per quanto riguarda l’Indonesia è proprio la deforestazione è la principale causa della crescita dei gas di serra. Così, in gennaio il governo di Jakarta ha annunciato: rispetterà il suo impegno a tagliare le emissioni del 26% entro il 2020. E per farlo, pianterà mezzo milione di ettari di nuove foreste ogni anno.
Il punto è che per «nuove» foreste si intende per lo più piantagioni: ad esempio di palme da olio, o di eucalipti e altre specie a crescita rapida che producono polpa di cellulosa per le cartiere. E una piantagione, cioè una grande distesa di alberi della stessa specie, non è una foresta. Anzi: «la massiccia espansione di piantagioni di alberi potrebbe fare più danno che bene alle comunità locali e anche al clima», nota il notiziario ambientalista indonesiano Down to Earth. In primo luogo perché, spiega, le aziende di solito ottengono concessioni per le nuove piantagioni su foreste esistenti, basta che siano definite «degradate». Ufficialmente in Indonesia ci sono 130 milioni di ettari di foresta, ma lo stesso ministero delle foreste ammette che solo 48 milioni di ettari sono foresta vergine in buone condizioni. Il resto è degradato, in modo più o meno grave. E il tasso di deforestazione nel paese sud-est asiatico è impressionante, ogni anno si calcola che scompaiano un milione e 800mila ettari di foresta pluviale… Così, estendere le piantagioni rischia di significare semplicemente accelerare la distruzione delle foreste attuali, più o meno degredate che siano: oggi si parla di 420mila ettari all’anno convertiti in palma da olio. E poi, «foresta» non significa solo un insieme di alberi: la foresta, quella vera, è un ecosistema biodiverso che ha importanti funzioni ecologiche, sociali, culturali, anche economiche – quando, per fare un esempio, comunità locali ne raccolgono i frutti spontanei, senza distruggerla.
Il progetto di espandere le «nuove foreste» dunque non promnette nulla di buono, né per la lotta al cambiamento del clima né per la salvaguardia della copertura verde dell’Indonesia. Così come non promette bene la prevista espansione del mercato degli agrocarburanti – vedi espansione di piantagioni di palma da olio per trasformarlo in «bio-diesel». Ma anche la vecchia industria della carta ha la sua parte in questa distruzione. Il gruppo ambientalista italiano Terra! ha diffuso lunedì un rapporto in cui fa l’esempio della Asia Pulp and Paper, una delle principali aziende all’origine dell’espansione delle piantagioni, e tra i maggiori produttori in Indonesia di carta e cellulosa, che vende oltre 15 milioni di tonnellate annue tra carta e cartone (parte della holding Sinar Mas, che opera nei settori della carta, olio di palma, assicurazioni e banche). Ha clienti in 65 paesi, e in particolare in Italia, dove vende 77mila tonnellate di carta cellulosa e sottoprodotti ogni anno, per 44 milioni di euro. Terra! fa notare che l’espansione del gruppo è stata assai aggressiva, ogni mese editori e spampatori vengono contattati con offerte vantaggiose. In particolare, Terra! indica le cartiere Paolo Pigna come un grande acquirente di App: e dice, comprare quella carta significa sostenere la deforestazione in indonesia (la Paolo Pigna nega di comprare carta dal gruppo indonesiano).

13 maggio 2010 – Il Manifesto.it