Scajola lascia ma non chiarisce
5 Maggio 2010Il primo pezzo del quarto governo Berluscni si stacca sulla scalinata cupa e monumentale che, annunciate le dimissioni, porta Claudio Scajola, per l’ultima volta, nelle alte stanze di via Veneto, trascorrendo davanti alle severe figure della vetrata disegnata da Sironi, fabbri, contadini, lavoratori, che la vita (e la casa) se la sudano. Un’ascesa che sa di contrappasso dantesco, in cui il ministro, che la casa con vista sul Colosseo se l’è “ritrovata” pagata, avanza accompagnato da due ali di commis, consiglieri e segretarie. Guidate, le une dalla fedelissima Fabiana Santini, la capo segreteria che per anni ha gestito agenda e rapporti, prima di essere ricompensata con un assessorato alla regione Lazio, gli altri da Ignazio Abrignani, diventato ormai l’uomo delle “missioni impossibili”, dal tentativo di rimettere in pista la lista fantasma del Pdl a quello di difendere l’indifendibile il ministro con cui è asceso al governo e con cui ora sfiora il precipizio. Al suo fianco ci sono anche i figli, Lucia e Piercarlo.
La fine della storia che lo porta per la seconda volta fuori dai palazzi del governo l’ex Dc ce l’ha dipinta in faccia, quando, pochi minuti dopo le 11 lascia il fatidico appartamento in via del Fagutale, per andare al ministero a “offrirsi” alle telecamere. Gli occhi roteano liquidi, la bocca non sta né su né giù, prova a reggere un sorriso di circostanza davanti agli obiettivi, ma non gli riesce. Una maschera tragica. Tradita dal ridicolo delle sue stesse parole, quando, terminati i passaggi di rito («mi dimetto perché mi devo difendere e non posso farlo da ministro»), dice che in questi giorni di «sofferenza» («anche se non sono l’unico a soffrire», concede, bontà sua) e di «campagna mediatica» («ogni giorno, la mattina e la notte, a inseguire sulla rassegna stampa, notizie su di me, pur non essendo indagato», «versioni contraddittorie», a suo dire) una cosa l’ha capita: «Un ministro non può sospettare di abitare una casa pagata in parte da altri». Gli «altri», ovviamente, sono la «cricca», arricchitasi con gli appalti gonfiati, così potente da arrivare fin dentro Palazzo Chigi e il Vaticano. Lì per lì sembra un lapsus, quello scivolamento da oggetto ad attore dei sospetti che aleggiano sulla sua casa pagata da quegli «altri».
E invece, sprezzante del ridicolo, il ministro insiste: «Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza sapere io motivo, tornaconto e interessi, darei mandato ai miei legali per annullare il contratto di compravendita», spiega, con quel se dovessi acclarare che un attimo dopo già dilaga nei blog, come se non fosse lui quello che il 14 maggio dovrà rispondere ai magistrati perugini di quegli 80 assegni che l’architetto Zampolini, per conto della «cricca», sostiene di avergli consegnato al momento della compravendita. «Sarebbe stato cretino, se la cosa è avvenuta, sarà avvenuta prima o dopo, ma certamente non con me o col notaio», aggiunge, a sera, concedendo qualcosa di più a Porta a Porta sul passaggio cruciale. «C’erano il notaio le sorelle e altre persone», dice: «Parlano anche di un funzionario di banca, può darsi, sono passati tanti anni».
Una linea difensiva che ha fatto spazientire lo stesso premier, fino a poche ore prima principale difensore di Scajola. «Si è dimesso un ministro tres capable», gli concede, dopo la pessima performance. Un tardivo onore delle armi, davanti ai colleghi del Ppe in visita a Palazzo Chigi, mentre Scajola attende di incontrarlo. Un faccia-a-faccia sospirato e rimandato di ora in ora. E sì che Scajola, nell’annunciare pubblicamente le attese dimissioni, comunicate prima al telefono al capo dello Stato e al premier, aveva fatto appello all’affetto che, da sempre, lo lega al premier. Un sentimento «profondo» e «ricambiato», a cui il ministro si aggrappa mentre scivola giù per la seconda volta dal tavolo del governo. Con tanto di ringraziamenti allargati alla maggioranza «tutta» e a «tutto il Pdl» che sull’orlo del precipizio suonano di minaccia.
Bisogna leggere tra le righe di quella mozione degli affetti per vedere i fantasmi che agitano in queste ore la maggioranza di governo. Anche perché, nononstante i ringraziamenti erga omnes, almeno uno, che nella cerchia di Silvio è sempre più potente, in realtà ha taciuto nella bufera: il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che Scajola si è ritrovato sempre contro, colpo su colpo. Fino all’ultimo. Altro che «sospetti», nel partito dell’amore si apre la notte dei lunghi coltelli, mentre l’ex Dc esce di scena. Per difendersi meglio, dice. Intanto, in conferenza stampa non risponde nemmeno ai giornalisti. Giusto il tempo di rivendicare i suoi «meriti» di ministro e se ne va. «La mia colpa? – si assolve poi a Porta a Porta – Essere stato superficiale».