IL MANIFESTO – Un reattore a Jaitapur

28 Marzo 2011 1 Di luna_rossa

IL MANIFESTO.

fotografia web da redazione N.R.

Il villaggio di Jaitapur, affacciato sul mare Arabico a sud di Mumbai, sta mettendo alla prova i progetti di espansione dell’industria nucleare indiana. Accanto a questo villaggio, in una popolosa zona della costa del Konkan, il governo di New Delhi intende installare un nuovo impianto composto da sei reattori, ciascuno da 1.650 megawatt, che l’India comprerà dall’azienda francese Areva. E’ il modello Epr (European Pressurised Reactor), uno di quelli detti di «terza generazione avanzata»: quello che Areva sta costruendo in Finlandia, primo reattore in assoluto messo in cantiere in Europa dopo il disastro di Cernobyl del 1986. Ma proprio in Finlandia l’impresa del Epr è stata bloccata a lungo dalle obiezioni sollevate dall’ente di sicurezza nucleare finlandese, e poi dagli analoghi enti di Francia e Gran Bretagna – i tempi e i costi così lievitati.
Finora questi problemi non hanno dissuaso New Delhi. Chissà se l’incidente nucleare di Fukushima indurrà qualche ripensamento: perché la realtà è che già ben prima del disastro giapponese gli abitanti di Jaitapur e dei villaggi vicini non sono affatto favorevoli alla nuova centrale atomica. Ne testimonia il fatto che quasi 2.400 famiglie – ovvero il 95% di coloro che dovranno perdere la propria terra e le proprie case per far posto alla centrale – hanno rifiutato il «pacchetto» di risarcimenti offerto dal governo del Maharashtra (lo stato che ha per capitale Mumbai). E questo nonostante il governo abbia di recente aumentato l’offerta: da 150mila a 1 milione di rupie per acro (da 2.500 a circa 16 mila euro per poco meno di mezzo ettaro). Ma l’opposizione diffusa alla nuova centrale «è fondata su argomenti più profondi che i soli risarcimenti», riferiva un noto giornalista e scrittore indiano, Praful Bidwai, dopo una visita sul luogo (sul magazine «Frontline», 11 febbraio). E’ una regione «altamente alfabetizzata», riferisce il giornalista, e l’opposizione è fondata su una diffusa «consapevolezza dei fatti del nucleare»: il pericolo delle radiazioni, il fatto che molti impianti in India hanno avuto malfunzionamenti e problemi di sicurezza. Molti inoltre discutono la pessima esperienza di quanti erano stati evacuati per costruire la prima centrale nucleare indiana, a metà degli anni ’60, a Tarapur (località non lontana dal nuovo sito): gente che viveva di un’agricoltura florida e ora è ridotta a fare lavori marginali – o pericolosi, come rimuovere materiali radioattivi dalla centrale. Gli abitanti dei villaggi attorno a Jaitapur, riferisce Budwai, «danno alla terra un valore non commensurabile economicamente». L’economia agricola locale è prospera, è la zona dei famosi manghi della varietà Alphonso, una tra le più ricercate. Un terzo della popolazione locale vive di pesca, e piuttosto bene – c’è una flotta di 500 barche, gli addetti hanno salaro di 300 o 400 rupie al giorno, meglio di molti altri lavori. All’offerta di risarcimenti ribattono: «Ci daranno un altro mare arabico in cui pescare?» Anche la classe media locale – insegnanti, avvocati, medici – è contraria alla centrale, leggiamo ancora su Frontline.
L’India, che ha avviato il suo programma atomico nel 1967 e oggi ha 20 reattori per produrre energia elettrica (ha anche un programma di ricerca militare e un numero imprecisato tra 60 e 100 testate atomiche), oggi è tra i pochi paesi al mondo che stanno progettando di espandere la produzione di energia nucleare. Un altro è la Cina, che dopo Fukushima ha messo il freno su nuovi progetti. Non così l’India. A meno che gli abitanti di Jaitapur non trovino modo di alzare la voce.