La supplenza di Giorgio Napolitano nei confronti di un governo e di una maggioranza ormai impresentabili ha raggiunto ieri il suo livello massimo.
Nella foto : Giorgio Napolitano
La supplenza di Giorgio Napolitano nei confronti di un governo e di una maggioranza ormai impresentabili ha raggiunto ieri il suo livello massimo. Basta confrontare la nettezza con cui il capo dello Stato è tornato a spiegare ieri le ragioni della partecipazione italiana all’intervento militare contro Gheddafi e le dichiarazioni di Silvio Berlusconi da Parigi e quelle di Umberto Bossi da Erba. «Oggi – ha detto Napolitano – servire la pace significa anche trovare il modo per andare incontro alle popolazioni perseguitate, non rimanendo indifferenti alle sofferenze e alle repressioni». Berlusconi, dopo aver svicolato da tutte le domande sull’impegno diretto dell’Italia nelle operazioni di guerra, ha preferito invece non impegnarsi troppo: «Siamo pronti all’intervento, ma non credo servirà». Bossi ha fatto peggio. Le sue dichiarazioni sulla sinistra che vuole l’intervento per far arrivare immigrati in Italia e averne il voto non meritano commento. Il Cavaliere ha giustificato così la posizione del Carroccio: «Ragioni di prudenza anche personale di Bossi». Anche personale.
Berlusconi comunque è in buona compagnia tra gli slalomisti della dichiarazione libica. Specialità nella quale è superato da Nichi Vendola, che si è esibito in un formidabile «ma anche».
«Dobbiamo lavorare – ha detto Vendola – per impedire il massacro dei civili in Libia ma anche per evitare che si ripetano copioni tragici che hanno visto soluzioni militari precipitare in pericolosi e terribili pantani». Cosa significa in concreto? Nulla, ognuno ci legga ciò che preferisce.
Non meglio aveva fatto Susanna Camusso, la quale ha spiegato che «bisogna evitare il genocidio, ma non con l’intervento militare». Se la leader della Cgil è convinta che si rischia un «genocidio» – termine che andrebbe usato con qualche prudenza in più – risulta ancora più difficile comprendere la sua posizione. Con quali armi si ferma, di grazia, un «genocidio»?
L’imbarazzo di Vendola è lo stesso di molti commentatori di area. Furio Colombo se la cava con un editoriale sul Fatto il cui titolo è tutto un programma: «Con la Libia, contro la Libia». Colombo è a favore o contro l’intervento? Non è dato sapere. L’implacabile ex direttore dell’Unità preferisce rimproverare a Berlusconi di essere stato amico di Gheddafi fino a poco tempo fa. A Bengasi, nell’attesa dei massacri, la contradditorietà del Cavaliere è sicuramente uno degli argomenti di conversazione preferiti tra i ribelli.
Infine, una notazione per il titolo del quotidiano di una forza politica, Rifondazione comunista, che ancora alle elezioni del 2006 aveva il 7,5 per cento dei voti. «Give peace a chance», titola Liberazione. Dare una chance alla pace. Dove fosse la pace in Libia, lo hanno capito solo i rifondatori del comunismo. Perché siano finiti all’1 per cento, invece, non è difficile capirlo.
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