Quando il deputato diventa escort – l’Espresso

26 Marzo 2011 0 Di luna_rossa

Quando il deputato diventa escort – l’Espresso.

di Giorgio Bocca

Oggi l’Italia è il Paese in cui decine di deputati sono stati corrotti, uno o due al giorno. Per passare sul carro del padrone di Arcore, che li ha gestiti come puttanelle: pagandoli in contanti non riconducibili fiscalmente a lui

(25 marzo 2011) Gianfranco Fini Gianfranco FiniNei giorni in cui i ribelli libici davano la caccia al dittatore Gheddafi e ai suoi figli, i giornalisti chiesero a Silvio Berlusconi se avesse sentito il suo grande amico in pericolo. Rispose: “no, non volevo disturbarlo”, a conferma che il suo modo di governare segue pochi ferrei principi: primo mentire spudoratamente, secondo ignorare le parole date, le fedeltà promesse, gli impegni solennemente presi per seguire il proprio tornaconto, terzo contare sul potere della corruzione.

Mi capitò di incoraggiare Romano Prodi, nei giorni del suo mai abbastanza rimpianto governo, a tenere testa al Cavaliere e mi rispose: “Sì, farò quello che posso, ma ha tanti soldi, troppi soldi”. Prodi mi anticipava ciò che è successo in questi giorni, il vergognoso mercato dei deputati, di questa maggioranza rimessa insieme a forza con l’acquisto giornaliero degli onorevoli cui si promettevano senza vergogna e ritegno soldi in aggiunta a un posto in Parlamento o in qualche carica pubblica ben remunerata.

Il metodo è infallibile fino al giorno della defenestrazione: la menzogna. Abbandonato da Fini e dai suoi seguaci del Fli, il nostro ha usato le sue televisioni e i suoi giornali, che non sono solo quelli direttamente suoi e di suoi parenti, ma anche di quanti ripetono il motto che fu di Vittorio Valletta: “La Fiat è per definizione governativa”, cioè la grande industria è costituzionalmente legata al governo che dispone del denaro pubblico per aiutare l’industria. Un comandamento indiscutibile del capitalismo che si dice privato e di libera concorrenza, la certezza maturata negli anni dell’unità nazionale che solo il governo può finanziare l’industria amica e solo lui curarla in pubblici ospedali come l’Iri.

E Silvio ha condotto la danza con l’abilità che gli si riconosce tenendo sul filo del rasoio le industrie in cerca di finanziamenti pubblici. Dunque in primis l’uso disinvolto del denaro pubblico, poi la corruzione dei deputati e il progressivo acquisto del partito di Gianfranco Fini, rivelatosi assai meno abile e deciso di quanto fosse apparso negli anni in cui aveva usato il suo partitino per fare l’ago della bilancia.

L’erosione, la digestione del partito di origine missina è stato un esempio agghiacciante del potere della corruzione politica, anche a buon mercato, anche per un piatto di lenticchie. Dominati dal terrore di perdere le loro sedie in Parlamento con le connesse auto blu e la buvette parlamentare, gli ex missini, i fedelissimi di Alleanza nazionale, uno o due al giorno sono passati sul carro del padrone di Arcore, che li ha gestiti così come la sua corte di escort e puttanelle: metodo cash in contanti non riconducibili fiscalmente a lui personalmente, in banconote da cinquecento euro messe in una busta come usa con le prostitute, fuori da ogni controllo ma con quel profumo, quel fruscio che incanta trafficanti e lenoni.

E non solo Silvio ha compattato la sua schiera di yes men, ma ne ha fatto dei fedelissimi perché non è che dopo il salto della quaglia si possa tornare indietro o disubbidire al nuovo padrone. Silvio ha detto ai telecronisti con la disinvoltura che gli riconosciamo che non telefonava a Gheddafi per non disturbarlo. Effettivamente Gheddafi in quei giorni deve aver avuto altro a cui pensare mentre a Bengasi si dava la caccia ai suoi figli.

Ma non credo che sia stato solo per rispetto dei guai altrui, ma anche per il presentimento dei propri, perché i moti di risveglio della Libia e del mondo arabo sono, non diciamo solo dei campanelli di allarme, ma dei tuoni di avvertimento a tutti i dittatori del vecchio e del nuovo mondo. La capacità di Silvio di fuggire rasente i muri quando gli conviene è nota. Una sera gli chiesi perché la mafia avesse smesso di sabotare gli impianti delle sue televisioni. Sorrise e se ne andò.