Ue, sì al commercio della carne clonata e senza etichettatura – Mondo – l’Unità
30 Marzo 2011
Ue, sì al commercio della carne clonata e senza etichettatura – Mondo – l’Unità.
La scienza non sa che effetto facciano e i consumatori non sanno come evitarli, ma i prodotti derivati da animali clonati continueranno a essere commerciati in Europa e saranno sempre più numerosi: yogurt, latte, formaggi, salsicce, prosciutto e carne di ogni tipo. È questa la conseguenza dello scontro tra Parlamento europeo e Stati membri dell’Ue, che ieri ha portato al fallimento della revisione della direttiva sui «nuovi alimenti».
Non è passata la richiesta degli eurodeputati di etichettare i prodotti derivati dalla clonazione per dare ai consumatori libertà di scelta. La legislazione comunitaria risale al 1997 e in questi quattordici anni l’industria alimentare ha tirato fuori dal cilindro ogni genere di diavoleria, dagli incroci genetici più improbabili alle nanotecnologie, dalle pastorizzazioni ad alta pressione alle pecore e i tori sdoppiati.
Risale proprio al 1997 la prima clonazione della pecora “Dolly”, mentre era italiano e si chiamava “Galileo” il primo toro clonato, due anni dopo. Oggi l’Ue importa 300mila tonnellate di carne da animali clonati, meno del 5% del totale della produzione europea, ma la cifra è destinata a salire. Per questo nel 2008 a Bruxelles si era deciso di rimettere mano alla vecchia legislazione con il metodo della «co-decisione», cioè la Commissione europea propone e decidono insieme Europarlamento e Consiglio (dove siedono i rappresentanti dei Ventisette Stati membri). Come già successo con gli Ogm però, diversi Governi dell’Ue si sono mostrati sensibili alla pressioni delle lobby alimentari, soprattutto americane, e lo scontro sulla clonazione è stato durissimo.
Ieri, l’ultimo giorno utile per trovare un compromesso tra Consiglio e Parlamento, le delegazioni delle due istituzioni sono state al tavolo per quasi 12 ore, prima di gettare la spugna alle 6.45 del mattino. Gli europarlamentari, che all’inizio volevano un divieto totale, si erano rassegnati a pretendere almeno l’etichettatura obbligatoria. Commissione e Consiglio volevano invece limitarsi ad etichettare gli animali clonati e la loro prole diretta, e solo per la carne bovina, lasciando così un vuoto legislativo per le generazioni successive e per tutti gli altri tipi di carni e prodotti derivati. I più intransigenti sono stati Gran Bretagna, Olanda, Paesi nordici ed Estonia, con l’appoggio di Germania e Spagna. La loro proposta era «un passo avanti solo fittizio», ha denunciato l’eurodeputato Pd Gianni Pittella, che ha guidato la delegazione dell’ Europarlamento. «La carne bovina è già oggi tracciata ed etichettata, il problema sono gli altri tipi di carni, il latte e i prodotti derivati», ha aggiunto, «inoltre le misure che riguardano la prole degli animali clonati sono assolutamente indispensabili, poiché i cloni hanno un valore commerciale solo per l’allevamento, non per la produzione alimentare. Nessun agricoltore spenderebbe, infatti, 100.000 euro per un toro clonato, solo per farne hamburger».
La palla torna ora alla Commissione che dovrà ripartire con una nuova proposta, buttando via più di due anni di lavoro e lasciando i cittadini europei in un vuoto legislativo per un tempo altrettanto lungo. Ieri il commissario europeo alla salute John Dalli ha ripetuto che non ci sono prove scientifiche sugli effetti nocivi dei prodotti derivati da animali clonati. «Io ha detto – mangerei sena problemi carne bovina clonata perché non c’è nessuna differenza da quella tradizionale». In realtà la stessa Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), con sede a Parma, nel 2008 ha stabilito che «non ci sono indicazioni che esistano delle differenze in termini di sicurezza alimentare», ma ha anche detto che ci sono “incertezze” dovute “al limitato numero di studi disponibili”. L’unica cosa che si sa è che spesso nei campioni clonati «sono stati trovati effetti negativi, spesso gravi e con risultati fatali» per gli animali. Un parere tutt’altro rassicurante che ha spinto la Commissione ha richiedere lo stesso parere nel 2009 e poi di nuovo nel 2010. La riposta però è stata sempre la stessa: non esistono abbastanza dati per dare certezze.