Esclusivo – Parla l’ex capo della ‘ndrangheta: “Milano è un feudo delle cosche” – CronacaQui
3 Aprile 2011 0 Di ken sharoEsclusivo – Parla l’ex capo della ‘ndrangheta: “Milano è un feudo delle cosche” – CronacaQui.
C’è un uomo a Milano che sa tutto sulla ‘Ndrangheta. È un ex boss che continua a mantenere legami strettissimi con la sua terra natia ma che non traffica più. Oggi è un uomo molto ricco, perfettamente inserito nella legalità ma ancora temuto e rispettato dagli ex picciotti per i suoi trascorsi criminali. Dice di non aver mai fatto uso delle armi in prima persona, di non aver mai commesso omicidi (ma non confessa di esserne stato magari il mandante), di aver solo gestito i capitali che transitavano dalla Calabria in Lombardia riciclando i soldi della ‘ndrangheta in attività legali. Uno col colletto bianco, insomma.
Accetta di parlare con CronacaQui, ovviamente con la garanzia del totale anonimato, e ci conferma, parola per parola, le conclusioni della lettera scritta la scorsa settimana al Corriere da Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria: «Le ramificazioni dell’organizzazione criminale calabrese sono tutte qui al Nord. A Milano si è espansa e continua ad espandersi in modo massiccio senza incontrare particolari difficoltà o ostacoli di natura repressiva».Alla faccia di chi, autorevolmente diceva, tempo fa, che la mafia al Nord non esiste.
Prima di addentrarsi nella ragnatela delle attuali connivenze, delle partecipazioni pubbliche e degli investimenti legali della ‘ndrangheta a Milano, il nostro “ex boss” ci fa un po’ la cronistoria della salita e dell’ascesa dei calabresi con la pistola, epoca che risale alla fine degli anni Cinquanta. Fenomeno pressoché contemporaneo all’immigrazione di massa di lavoratori dal Sud al Nord.
«Erano i tempi – ci racconta la nostra gola profonda – in cui Milano era controllata dai clan Epaminonda e Vallanzasca. Era tutto nelle loro mani, la prostituzione, il gioco d’azzardo, i locali notturni, le tangenti. Chiunque si avventurasse a Milano in quell’epoca doveva fare i conti con loro se aveva intenzione di aprire un’attività o lucrare in affari poco puliti».
Poi arrivaste voi con la valigia di cartone…
«Già, bei tempi perché mi ricordano gli anni della gioventù ma furono anche periodi terribili. Erano gli anni in cui Milano ci guardava con diffidenza, c’erano i cartelli di non affittasi ai meridionali e ci si arrangiava persino negli scantinati pur di sopravvivere».
Ma quell’esistenza buia si illuminò ben presto con l’arrivo della droga. Cominciavano gli anni dell’esistenzialismo e della spasmodica ricerca di “erbe miracolose” che sfociarono poi nello spaccio sistematico dell’eroina.
«Vero, è stata la droga l’arma vincente per ribaltare gli assetti del potere criminale a Milano, per scalzare il predominio dei vari Epaminonda, Vallanzasca e di altre bande minori che operavano nei quartieri di periferia come il Gallaratese o la Comasina. Loro erano un po’ spacconi, ragazzi di periferia cresciuti in fretta e travolti dalla montagna di denaro che si riversava all’improvviso nelle loro tasche per i proventi del gioco d’azzardo e della prostituzione. Ma non erano preparati per gestire un traffico in grande stile come quello della droga. Vede – spiega l’ex boss della ‘ndrangheta – quei clan erano un’accozzaglia di gente tenuta insieme dal miraggio dei quattrini. Pronti a tradire se necessario. Noi no. I calabresi sono un unico, solido, saldo gruppo familiare. Si entra nel gruppo solo se esistono legami di sangue, di parentela. E nessuno tradisce la propria famiglia, i propri affetti. Per questo eravamo e siamo i più forti».
Poi a liquidare definitivamente gli Epaminonda e i Vallanzasca più dei legami di famiglia arrivarono anche le stragi, quella ad esempio ricordata come la “notte di San Valentino” in una bettola alla periferia di Milano. Ma è indubbio, come ricorda il nostro confidente, che furono l’unità e la determinazione del gruppo dei calabresi, compatto come un’armata, a spuntarla sul territorio a scapito dei “nativi”.
Bene, questa è un piccolo sunto degli esordi, è la storia delle origini, ma parliamo di ora, del cancro di questa società come lo definisce il procuratore Pignatone. Dove sono le ramificazioni della ‘ndrangheta al nord, come vengono gestite e come fate ad eludere i controlli delle forze dell’ordine?
«Per scoprirlo, basta guardarsi attorno. Probabilmente all’angolo di casa vostra c’è un negozio gestito o controllato dalla criminalità calabrese. Sbaglia chi pensa che la ‘ndrangheta abbia investito i suoi soldi nell’alta finanza, nelle multinazionali, in Borsa o addirittura in complesse operazioni finanziarie internazionali. La ‘ndrangheta è come una piovra che si espande sul territorio. È la quantità più della qualità a produrre il massimo reddito. La droga è sempre il core business. Lo spaccio è facilitato dall’enorme offerta che arriva dagli Stati Uniti e dal Sud America. Siamo noi ad avere i contatti privilegiati con quei fornitori, sono le cosche dei crotonesi, dei reggini e dei San Luca ad aver allacciato i rapporti con i narcos colombiani o messicani e ci garantiamo approvvigionamenti continui e costanti. Di noi si fidano, dei siciliani no. E questa enorme mole di stupefacenti si tramuta in denaro liquido, pronto per gli investimenti. E a Milano abbiamo investito quei soldi in discoteche, le migliori e più alla moda. Basta controllare chi c’è dietro la proprietà di questi locali per scoprire che un calabrese, magari pure incensurato, è sempre presente. Abbiamo il controllo dei più rinomati locali notturni, controlliamo gran parte dei negozi dei vari ipermercati, gelaterie, lavanderie».
Vorrebbe farci credere che tutti i proventi della droga sono finiti in locali da ballo e salumerie?
«Non solo ovviamente anche se quelle attività rappresentano la parte più cospicua e redditizia degli investimenti, anche perché più facilmente eludibili ai controlli di polizia. Ci sono anche attività, diciamo più giornalisticamente scontate come cantieri edili, appalti privati e pubblici che ci garantiamo con la connivenza di amministratori amici, ci sono poi le finanziarie ufficiali e non (leggi: prestiti ad usura) e pure il business della sicurezza nei locali, quelli che forniscono body guard che per noi costituiscono l’ossatura dell’organizzazione, una specie di pronto intervento armato per casi di necessità».
Ovvero le intimidazioni, le aggressioni, le violenze contro chi non paga le tangenti o il pizzo, altra specialità della casa.
La repressione non basta, dice il procuratore Pignatone nella sua lettera al Corriere. È d’accordo?
«Totalmente d’accordo, polizia e carabinieri hanno fatto e continuano a fare retate e arresti contro la ‘ndrangheta ma senza ottenere grandi risultati. L’organizzazione rinasce sempre più forte di prima. Da noi non esiste il fenomeno del pentitismo che caratterizzò la mafia siciliana negli anni ’80. Per questo è più difficile combatterla ed estirparla. Fino a quando ci sarà la domanda di droga, fino a quando ci saranno amministratori o politici infedeli, la ‘ndrangheta continuerà ad esistere e a prosperare. Mani pulite riuscì forse ad eliminare la corruzione dall’Italia? No. Nonostante i ribaltoni politici dalla prima alla seconda Repubblica, nonostante la scomparsa dei partiti tradizionali, nonostante gli arresti eccellenti la corruzione è rimasta, anzi ora è più presente di prima. La ‘ndrangheta, a mio parere, si alimenta sui vizi degli italiani. Impossibile eliminare la prima senza eliminare i secondi».
Francesco Bozzetti