Gli Altri Online La Sinistra Quotidiana – Myriam Laplante: «Una stanza tutta per lor signori»

11 Aprile 2011 0 Di luna_rossa

Gli Altri Online La Sinistra Quotidiana.

fotografia web da redazione N.R.

di Andrea Fogli

L’autrice del nostro terzo Manifesto d’artista (in edicola con il giornale), dopo Felice Levini e Dan Perjovschi, è Myriam Laplante, artista canadese che da molti anni vive in Italia, e che ha accettato con entusiasmo di interpretare il motto che le abbiamo suggerito: Una stanza tutta per loro. L’idea di proporre questa  frase è nata sulla scia della manifestazione delle donne del 13 febbraio e del dibattito che ne è seguito: circa cento anni dopo che Virginia Woolf reclamava per la donna Una stanza tutta per sé, luogo di creatività e libertà fuori dal dominio maschile, ci siamo ritrovati di nuovo come al punto di partenza.

Il nostro motto  è stato per la Laplante come un invito a nozze, sia per il forte coinvolgimento con cui segue e patisce il progressivo imbarbarimento della società e della politica, sia perché da sempre il suo lavoro è incentrato sul concetto di manipolazione, sul rapporto perverso tra “massa e potere”. E non è un caso allora che lei l’ha reso ancora più radicale, indicando non tanto “una stanza” ma “un buco tutto per loro!”.

Myriam Laplante è spesso in giro per il mondo o rintanata nella sua casa-studio in Umbria, così ci siamo scambiati domande e risposte via email, come in una lenta e riflessiva chat che ci ha fatto compagnia per qualche giorno… regalandoci la giusta distanza e la necessaria lentezza che dovrebbe sempre accompagnare le parola e il pensiero.

Allora chi sono questi “loro”, a chi è rivolta la stanza-buco?
“Loro” sono gli arroganti, i prepotenti, i pedofili, i molestatori, i violentatori, gli stupratori, i bruti, i presuntuosi, quelli col ghigno in macchine di lusso, i leccapiedi, gli impuniti, i ladri, i tracotanti, i ruffiani, i raccomandati, i tiranni, gli “utilizzatori finali”, devo continuare?

L’immagine dei vermi è una metafora parossistica o un metafora neorealista?
Sono andata a cercare sul vocabolario la parola “parossistico” per essere sicura di aver capito bene il senso. Come termine medico indica il “momento di massima intensità di un processo morboso”, in senso figurato “una situazione affettiva o di tensione psichica, momento culminante, esasperazione”. Il processo morboso c’è. L’esasperazione pure. Dunque si, è una metafora parossistica. E se per neorealismo si intende la poetica della resistenza al totalitarismo e al classismo e una visione non edulcorata o mistificatoria della realtà, ebbene si, è anche una metafora neorealista. Perché tutti quelli che prima ho elencato sono come vermi e sanguisughe.

Il meccanismo di manipolazione operato dal potere è al centro di molti suoi lavori. Ci può raccontare come l’ha affrontato ad esempio in Elisir e Fontana?
In Fontana, era semplice e univoco. Era una performance nella quale ero una fontana, con una grande maschera bianca, vestito blu “notte stellata”, l’acqua mi sgorgava dalle mani. Ai miei piedi, una quarantina di piccole sculture di creta di donne, uomini, bambini: una specie di sorgente di vita/dea madre che nutre amorevolmente il suo popolo per poi spiaccicarli tutti in un raptus velocissimo. Come fanno i tiranni populisti. Elisir era una installazione più complessa. A volte la vita politica del pianeta assomiglia a tanti film di fantascienza con i cattivi che vogliono dominare il mondo con un’avidità senza limiti. Lo spunto mi era venuto  dalla Monsanto che diceva di voler risolvere i problemi della fame nel mondo (ah!). In grandi linee, ho dunque deciso  che bastava con la bohème, che volevo anch’io un pezzo della torta, e che dunque dovevo creare il mio esercito di esseri geneticamente modificati che sarebbero diventati miei schiavi per farmi diventare padrona del mondo.  L’installazione aveva trasformato la galleria in un vero e proprio laboratorio chimico nel quale veniva creato l’elisir di vita. Ma, come per la Monsanto e tante altre multinazionali che non fanno altro che accumulare soldi e potere senza tener conto della vita della gente e del pianeta, e creano solo disastri, anche il mio progetto ha generato solo distruzione:  gli umanoidi-fantoccio che avevo creato venivano distrutti uno dopo l’altro, e mentre si sgretolavano fischiettavano allegramente. Come nella vita.

Davvero feroci e folli questi  lavori, deliranti “come la vita” che ci circonda. Ci fanno pensare, come molti altri tuoi lavori, quanto sia importante oggi perdere un po’ di quell’aplomb e di quella coazione alla lucidità che Simone de Beauvoir rimproverava anche ad autrici come la Woolf, e colpire invece spiazzando, anche clownescamente, entrando in territori ibridi, ambigui, non rassicuranti…
L’aplomb è per i chirurgi, ma ci vuole lucidità per colpire spiazzando… Comunque per me, l’arte, o la creatività, ha senso se si espande in territori “altri”, cercando di comprenderli ed elaborarli con il proprio lavoro; se no si rifanno sempre le stesse cose, si riscrivono le stesse righe. Quello che conosciamo è rassicurante, ma quello va bene dopo una giornata di lavoro, un divano comodo, un paio di vecchie ciabatte. Ma diventa anche piuttosto noioso, come la solita minestra. E’ vero che “rien ne se perd, rien ne se crée”, ma bisogna pure cercare per trovare ciò che già esiste da qualche parte, quella realtà nuda perlopiù nascosta sotto il pesante sipario che la dissimula e rimuove dalle nostre coscienze. E questo non vale solo per le donne, anzi! Troppe certezze producono cose “carine”, “estetiche”, ma io preferisco cose incerte, aperte e inquietanti perché parlano a tutti i nostri sensi. Come si fa a capire l’equilibrio se non si è mai stato in bilico?

Infatti come si fa a capirsi come uomo e come donna se non si riconosce la propria androginia, se per noi è tutto o bianco o nero?…
Bianco e nero è rassicurante. Tanti hanno paura di perdersi nei territori di mezzo, nelle zone grigie, meno definite, meno sicure, più inquietanti. Ma è bellissimo perdersi! Andare a zonzo nelle zone grigie è un lusso dei pensatori.