Il reportage – Uomini di addestranAl Qaidao i ribelli| mondo| Il SecoloXIX

11 Aprile 2011 0 Di ken sharo

Il reportage – Uomini di Al Qaida addestrano i ribelli| mondo| Il SecoloXIX.

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Tripoli – La loro esistenza preoccupa l’Occidente, si chiede se loro possano essere il nodo di congiunzione tra la rivoluzione popolare e Al Qaeda che ben sa come riempire il vuoto politico. «La Libia come l’Afghanistan e la Somalia», ha previsto qualcuno, a partire da Gheddafi che chiuso nel suo bunker resiste giorno dopo giorno.

«Ci sono 25 mujaheddin, combattenti, che hanno prestato servizio in Afghanistan», ci confida Mustapha Gheriani, portavoce dell’esecutivo provvisorio. Due di loro addestrano i ribelli libici: Abdel Hakim al Hasadi, ex insegnante e influente predicatore musulmano che ha trascorso cinque anni in un campo di addestramento afghano come istruttore e reclutatore e Sufyan Ben Qumu, ex militare, poi assunto in una compagnia di Osama Bin Laden in Sudan, per poi finire a lavorare in un’organizzazione legata ad Al Qaeda in Iraq. Nel 2001 sono stati consegnati dai pakistani agli americani, Hasadi è stato rilasciato dopo due mesi di interrogatorio e Qumu si è fatto sei anni a Guantanamo. Poi sono finiti nelle carceri libiche e nel 2008 sono stati rilasciati con un’amnistia di Gheddafi.

«Alcuni di noi erano preoccupati dal passato di queste persone – spiega Ashour Abu Rashid, membro del governo provvisorio -. Al Hasadi mi ha personalmente assicurato che vuole solo che Gheddafi se ne vada e che risponderà all’autorità del consiglio, e per ora è stato di parola».

I due ex combattenti oggi addestrano almeno 500 ribelli in un campo di Derna. E non è facile, perché sono solo civili che all’improvviso si sono trovati protagonisti di una rivoluzione che non era pacifica come avevano immaginato. Non sanno cosa sia maneggiare armi, disciplina, pianificazione.

Hasady e Qumu per ora non hanno destato sospetti, i libici sono un popolo religioso ma non estremista. Gheddafi, nonostante abbia per anni finanziato l’estremismo e il terrorismo in tutto il mondo, ha cercato di schiacciare la presenza islamica nel suo paese, come fatto anche da Siria ed Egitto. Non solo, era in perenne lotta con le autorità religiose per divergenze teologiche sull’Islam che lui avrebbe voluto imporre.

I ribelli rispettano i mujaheddin che hanno lottato contro americani e russi perché sono veri combattenti. Le loro cicatrici raccontano di vittorie contro quelli che sembravano nemici invincibili. Per il governo di transizione non sono una minaccia, è gente che ha pagato il proprio debito, ma soprattutto insieme ai militari libici disertori, sono gli unici che sanno come si combatte. «L’Occidente sta esitando per paura che arrivi Al Qaeda in Libia», dice Hasady, 45 anni, in uniforme militare, pistola alla cintura, «ma non devono credere a Gheddafi. Una no fly zone e qualche raid non basta. Come possiamo sconfiggerlo senza armi? Abbiamo solo qualche razzo e dei Kalashnikov».

Il dibattito sulle armi è più che mai aperto, secondo indiscrezioni arriverebbero sottobanco dall’Egitto e dal Qatar, di sicuro sono arrivati 60 comandanti militari qatarioti.

«Sono un uomo semplice, non appartengo ad Al Qaeda: è vero, ho combattuto contro gli americani in Afghanistan, ma se allora odiavamo gli americani al 100 per cento, ora è meno del 50 per cento. Si redimono aiutandoci in questa rivolta. E poi se non vogliono che se ne vadano all’inferno».

Per le strade della Cirenaica le donne sono velate, gli uomini pregano, ma non si percepisce il richiamo del fondamentalismo. «La rivolta è laica, ci sono persone di tutti i tipi, ma siamo anche musulmani» ci spiega Gheriani al tribunale di Bengasi, quartier generale del governo provvisorio. La rivolta è fatta da persone di tutti i tipi, intellettuali a semplici lavoratori, ognuno con le proprie idee, unite in questo momento dal desiderio di liberarsi del raìs. Quel che accadrà dopo, quando Gheddafi smetterà di essere la loro ragione di unione, cambia a secondo dell’interlocutore. I ragazzi sognano internet un futuro migliore, anche se significherà andarsene, le donne di poter decidere della propria vita, i religiosi parlano di democrazia, ma islamica.

«Qui non c’è al Qaeda. Non credete a queste storie. Vogliamo un paese moderno», ci spiega lo sceicco Al Farjani, vice capo della congregazione delle moschee della Libia, più o meno mille, tutte contro Gheddafi e pronte a dire la loro sul dopo rivoluzione. «L’Islam è la nostra via, basta seguirla per avere lo Stato giusto». Come? «Come l’Arabia Saudita naturalmente».