La Maddalena, sviluppo all’anno zero | La Nuova Sardegna

10 Aprile 2011 0 Di luna_rossa

La Maddalena, sviluppo all’anno zero | La Nuova Sardegna.

La riconversione è stata un disastro: ancora bloccato il passaggio alla Regione dei beni della Difesa e del Demanio, bonifiche a metà, fiumi di milioni inghiottiti dalla “cricca”. Ecco l’elenco delle incompiute

di Pier Giorgio Pinna

LA MADDALENA. «Siamo circondati da tesori, potremmo essere ricchissimi, ma nessuno riesce mai a far fruttare tutto quest’oro». Il vecchio pescatore non nasconde l’amarezza. Lavora su un moletto di Caprera. All’improvviso interrompe il discorso, si allontana dalle reti, scuote il capo e guarda il mare che gli ha sempre dato da vivere. In silenzio. È scoraggiato: dopo tante promesse – G8 mancati, bonifiche mai finite, riconversioni bloccate – non scorge un futuro per i suoi figli. Nell’arcipelago, sulla carta, ci sono duemila disoccupati, la metà giovani e giovanissimi, su una popolazione di dodicimila residenti. E ogni volta che si risente parlare di rinascita basta aspettare qualche mese per capire che i tempi s’allungheranno all’infinito e che tutto scomparirà tra le onde.

Può darsi che da qui, tra un po’ di tempo, quel pescatore possa vedere arrivare le navi da guerra della Nato a Santo Stefano, sempre che i piani allo studio per il ritorno degli americani si consolidino. Ma in attesa dello Zio Sam, tra il plauso dei nostalgici e la rivolta degli antimilitaristi, non è solo lui a fare il bilancio delle ultime sconfitte. Uno spaccato costellato d’incompiute, fallimenti, progetti traditi, continui rimpalli di responsabilità. Con estentuanti ping pong sull’asse Roma-Cagliari e accuse tra enti e istituzioni sull’alt alla valorizzazione di un patrimonio immenso. Così, nell’arcipelago più bello del Mediterraneo, lo sviluppo resta fermo all’anno zero.

Per capire, è sufficiente un rapido tour. Non turistico: alla ricerca del tempo sprecato, in mezzo alle opere lasciate a metà, ai gioielli che la Difesa non molla, agli altri siti preziosi che i ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali gestiscono in esclusiva. Sì, perché La Maddalena è al centro di un effetto domino. Senza sbocchi apparenti. E con mazzate che colpiscono soprattutto le nuove generazioni, prive di speranze collettive reali. Prospettive diverse dall’appoggio elemosinato su basi clientelari o grazie agli immancabili gruppi locali di pressione.

Dalle inchieste sulla corruzione, dalle indagini sulla Cricca, dai veleni ancora sui fondali di vecchi insediamenti della Marina oggi l’arcipelago è passato a un presente che vede in campo sconquassi a catena, favoritismi, corsie privilegiate, diffuse irregolarità, abusivismi nella gestione di abitazioni e fabbricati. Uno stato d’abbandono che s’insinua, con tracce evidenti di zozzume vero e d’inafferrabili fantasmi del passato, nelle baie dal mare cristallino. Si estende lungo i bassi promontori e le rocce così incantevoli da fare innamorare a suo tempo l’attore Gian Maria Volontè, che nel cimitero di questo paese, non lontano dalle acque color smeraldo, volle essere sepolto. Quegli scogli e quelle scogliere che stregarono Michelangelo Antonioni, spingendo il regista a girare sulla Spiaggia Rosa di Budelli alcune delle scene più suggestive di Deserto Rosso.

Ma ora il degrado s’allarga fino ai complessi più distanti dalle rade al riparo della tramontana care a Garibaldi, con tracce che gli sforzi di maquillage da parte degli operatori economici non riescono a nascondere del tutto. E in questo quadro tanto compromesso a rischiare non sono soltanto l’ex arsenale, dal 2010 affidato alla Mita, e l’ex ospedale militare, ristrutturato ma chiuso dal 2009 (costo di gestione annuale: sessantamila euro).

Se la Regione non investirà sulle sue proprietà, credendo nel valore aggiunto dell’arcipelago, decine di aree verranno sepolte sotto i detriti del summit scippato e degli scandali alimentati dalla Protezione civile a guida Bertolaso. E i 350 milioni spesi per il G8? Potrebbero definitivamente rivelarsi soldi buttati via tra le raffiche del maestrale.

Proprio a Caprera regna l’incertezza. Si farà l’anello stradale per collegare Arbuticci con la fazenda del generale, creando un unico percorso tra il museo di Garibaldi nel mondo (tutto da fare) e la casa bianca dove si trovano già le testimonianze dei 30 anni da lui trascorsi nell’isola? Chissà. E le altre opere per il riassetto delle fortificazioni nel 150º anniversario dell’Unità e il loro riutilizzo nell’industria delle vacanze? Può darsi. Ma non è detto. Certo è che vicino a Stagnali, Cala Andreana, Porto Palma regna l’abbandono. Altrettanta insicurezza riguarda complessi dove, nelle more dei passaggi alla pubblica amministrazione civile, s’installano privati senza titolo. Magari lasciando la scritta zona militare all’ingresso. Come accade persino per campetti da calcio, tennis, basket. E un po’ come succede con le occupazioni estemporanee, per così dire, di tantissimi dei mille alloggi di servizio (o ex tali) distribuiti nell’arcipelago.

Posti stupendi che d’agosto continuano a venire assaltati da centinaia di auto in una situazione di confusione e disordine. Tra sprechi d’acqua dolce, carcasse d’auto e pneumatici, cassette di plastica, lattine e bottiglie di birra. Davvero un insulto per un’area come Caprera dove si trova quasi un terzo degli endemismi botanici sopravvissuti ai concimi chimici e alle devastazioni della flora sarda.

E il rilancio del Club Med e del centro velico? In secca. Esattamente come la sdemanializzazione di tanti altri complessi: magazzini e capannoni a Padule e nel Nido d’Aquila (costa sudovest della Maddalena), ville liberty sul lungomare a est, depositi a Punta Sassu, l’area Vaticano retrostante il Main Conference. Esattamente come il waterfront, a ogni conferenza di servizi riproposto con 11,7 milioni già stanziati in precise poste di bilancio ma con scavi che poi non partono mai. Esattamente come i progetti per il varo delle intese con la Regione, al palo dopo 24 mesi di trattative nonostante le aspettative per gli interventi in quella Santo Stefano che forse tornerà a stelle e strisce e altri importanti investimenti ancora.

Adesso, a tre anni dall’accordo di programma stipulato dalla Giunta Soru con Difesa e Agenzia del demanio proprio nell’immediatezza della partenza dei marines, a scorrere l’elenco dei beni dismessi ci si fa l’idea di realtà in movimento. Ma le cose non stanno così. Tutto appare arenato. Senza più molte speranze: il Comune lasciato in ostaggio di poteri forti.

Ci sono centrali fotovoltaiche che arrugginiscono al sole. Piani di riassetto lasciati in mezzo al guado. E la scuola Seis ex Usa, un patrimonio di grande valore acquistato da Ligresti, che attende di conoscere il proprio destino almeno dal 2008.

Intanto non si parla più dei poli per la cantieristica navale, dei saperi che viaggiavano lungo le vie del mare, di quella nautica che avrebbe potuto aprire le porte dell’occupazione a molti ragazzi. Logico che le sirene della flotta statunitense catturino frotte di fan. Da queste parti sono parecchi a rinverdire il mito: «Lo zio d’America e i suoi figli armati di missili a testata nucleare ogni anno lasciavano qui 50 milioni di dollari».

Ma in questo paradiso perduto, nella catena di licenze stoppate e divieti incrociati, il caos probabilmente non è fortuito. L’ha capito persino un soldato dell’esercito dei senza lavoro. Deluso dalle false promesse, sul muro della discarica di Guardia Vecchia con uno spray dalla vernice rossa ha scritto: «Credevo alle favole, non capivo certe logiche: è una fortuna che sia ancora vivo». (ha collaborato Andrea Nieddu)