La prescrizione breve cancella pure la strage di Viareggio | Ferruccio Sansa | Il Fatto Quotidiano

11 Aprile 2011 0 Di luna_rossa

La prescrizione breve cancella pure la strage di Viareggio | Ferruccio Sansa | Il Fatto Quotidiano.

La rabbia dei familiari delle vittime: “Se non ci pensa lo Stato la pagheranno in qualche altro modo”

Un incubo: la nuvola azzurra del gas, le fiamme, le urla, la morte. Mezzanotte. A Viareggio si spengono le luci nelle case di Daniela Rondi, Luciana Beretti, Marco Piagentini. A La Spezia si abbassano le tapparelle di Roberto Fochesato, macchinista delle Ferrovie.

Ognuno si prepara al sonno. Ma Daniela, Luciana, Marco, Roberto e tanti altri hanno in comune una cosa: l’incubo che ogni notte si infila nei loro sogni. “Chiudo gli occhi e sento le sirene, le esplosioni, la voce di mia figlia Emanuela”, racconta Daniela Rondi. E, appena pronuncia quel nome, la voce è come se si sgretolasse: Emanuela è morta, una delle 32 vittime della tragedia ferroviaria di Viareggio.

Era il 29 giugno 2009, ore 23:48. Ma il convoglio 50325 con i suoi 14 vagoni pieni di gpl da allora è come se deragliasse ogni giorno. Negli incubi della gente di Viareggio, nei ricordi che attanagliano. E adesso anche nella rabbia: “Se passerà la legge sulla prescrizione breve voluta da Berlusconi, i responsabili la faranno franca”, racconta Daniela Rondi, presidente dell’associazione “Il mondo che vorrei” che raccoglie i familiari delle vittime. “Passo ore a studiare la legge. Eppure è proprio così: gli imputati sono tutti incensurati, tranne uno. La pena per l’omicidio colposo va da 2 a 5 anni. Il nostro processo è a rischio. Ma noi non daremo tregua, mercoledì saremo a Roma. Guarderemo in faccia i deputati. Lo so, non servirà a niente, perché loro hanno la maggioranza blindata. Loro hanno altri pensieri per la testa”.

Daniela ricorda: “Emanuela era lì per caso. Decise di dormire a casa di un’amica, proprio in via Ponchielli. Le fiamme le sorpresero che giocavano a carte. Mi ricordo le ultime parole di mia figlia, alle tre di notte: “Mamma, non ti preoccupare, c’è stato un incidente, ma io me la sono cavata”. Ma le ustioni spesso non ti uccidono subito. Ti divorano dentro per settimane, mesi. Emanuela, 21 anni, dopo quelle parole è scivolata nell’agonia durata 42 giorni.

“Non voglio vendetta. Ci può essere il perdono, ma il bisogno di giustizia resta”, spiega Daniela Rondi. Oggi con l’associazione “Il Mondo che vorrei” ha creato una rete con i parenti delle vittime di tante tragedie italiane che si potevano evitare: dalla Thyssen alla Casa dello Studente de L’Aquila.

A Viareggio decine di famiglie oggi condividono la rabbia: “Se lo Stato non ci darà giustizia… la pagheranno in qualche altro modo”, si lascia andare Luciana Beretti. Ma è uno sfogo, non ci crede nemmeno lei alla vendetta. Però rassegnarsi è impossibile: “Ho perso mio figlio Federico di 32 anni. E poi sua moglie Elena Iacopini e i suoi genitori. Uccisi mentre si trovavano in casa”. Il cronista ricorda quei nomi (Federico, Elena, Emanuela e Mauro, morti dopo settimane di sofferenze terribili) di cui aveva scritto nei giorni della tragedia. Per noi semplici spettatori la vita è continuata. Per Luciana no: “Sono viva perché ho altre due figlie, altrimenti sarei con Federico. Ma il dolore ci ha cambiati, siamo diventati irascibili, nervosi. Cattivi. Quando siamo insieme ci teniamo dentro la disperazione, ma appena siamo soli esplode”. Ricordi e rabbia: “Mauro Moretti, il numero uno delle Ferrovie, non ci ha chiesto perdono. Abbiamo raccolto diecimila firme per le sue dimissioni, in qualunque paese del mondo dopo la morte di 32 persone se ne sarebbe andato. Invece resta al suo posto”. Luciana aggiunge: “Le indagini hanno appurato che ci sono state responsabilità e omissioni. Ma la prescrizione non permetterà di stabilire chi sono i colpevoli”. Luciana ci tiene a una cosa: “A noi non interessano i soldi. Noi rifiutiamo il risarcimento, vogliamo il processo. Ma in Italia le leggi sono fatte per difendere gli imputati, non le vittime”.

A Viareggio è primavera, sul lungomare di sera è odore di mare e profumo di ragazzi che si incontrano sotto i lampioni. La ferita di quel 29 giugno sembra rimarginata. Ma non è così, il dolore è dietro le finestre illuminate fino a tarda notte. Passi davanti alla casa di Marco Piagentini e ti chiedi come possa vivere quest’uomo di 42 anni: sua moglie Stefania (40 anni) morì insieme con i figli Lorenzo (2 anni) e Luca (4 anni). Tutta l’Italia ricorda le due bare bianche nello stadio di Viareggio. Oggi Marco ha ripreso a vivere, perché è un uomo più forte delle ustioni sul 90 per cento del corpo. E perché c’è ancora Leonardo che ha nove anni.

Le vittime della tragedia di Viareggio non sono 32. Sono centinaia, uomini e donne che vanno avanti come possono, magari assistiti da medici e psichiatri. Come Roberto Fochesato che, senza nessuna colpa, fu messo dal destino a guidare il treno che portò la morte. Dopo due anni è ancora in malattia: “Ho 53 anni, tra qualche giorno farò una visita e spero che mi mandino a casa per sempre. Oggi appena vedo un treno mi viene la pelle d’oca. È un morbo. Lo psichiatra mi ha detto di non guardare la tv, ma io non ci riesco: appena vedo le immagini dell’incidente mi attacco allo schermo. Sto malissimo. E poi c’è quell’incubo che mi perseguita di notte”.

Già, gli incubi delle vittime non si prescrivono mai. Le responsabilità penali dei colpevoli sì.