l’Unità – «Presidente non firmi il processo breve…»
7 Aprile 2011
l’Unità.
C’è come una catena di dolore che tiene unito il paese. Gli anelli sono le tragedie che la natura e l’incuria degli uomini impongono di volta in volta alla collettività. Che non dimentica e chiede giustizia per cercare di lenire un dolore senza fine. Daniela Rombi, la mamma di Emanuela i cui 21 anni furono distrutti nella strage della stazione di Viareggio, stava quasi per inginocchiarsi davanti al presidente della Repubblica, appena uscito dalla Basilica di Collemaggio dopo aver partecipato alla funzione in ricordo delle vittime del sisma che due anni fa ha ferito nel profondo L’Aquila e i suoi abitanti. «Presidente, non firmi la prescrizione breve e il processo breve. Faccia di tutto». Quelle norme possono mettere in discussione anche i processi dai quali si aspettano giustizia i sopravvissuti alle catastrofi che hanno segnato la vita di tante famiglie a Viareggio come a Torino, a San Donato come a L’Aquila. E Napolitano le ha risposto: «Questo lei non deve dirmelo. Conosco le questioni e le seguo come posso». Com’è, di fatto, nella prerogative del presidente che ha tempi ben definiti, rispetto a quelli in svolgimento, per un intervento sulle norme. «Aspettiamo il processo» ha poi aggiunto Napolitano passando alla questione che ha coinvolto la signora Daniela che è tornata a chiedere, come già aveva fatto in passato, che venisse tolta a Mauro Moretti, l’ad delle Ferrovie dello Stato, l’onorificenza di Cavaliere del lavoro. Ma anche in questo caso i tempi e le possibilità di intervento sono diversi da quelli di un dolore straziante.
«Presidente, non ci abbandonare» è stato il grido con cui l’Aquila, sul sagrato di un luogo simbolo della tragedia di due anni fa, ha accolto Giorgio Napolitano, l’unico rappresentante delle istituzioni e della politica nazionale di cui l’associazione familiari delle vittime aveva fatto ufficialmente sapere di gradire la presenza. Per il governo c’era l’abruzzese sottosegretario alla presidenza, Gianni Letta. Assente Silvio Berlusconi. «Era previsto così» dice il sindaco Cialente.
Un grande applauso dal cuore all’arrivo del presidente che è continuata all’interno della Basilica che mostra ferite ancora aperte, nonostante gli interventi di restauro comunque cominciati. Mentre lo stesso non si può dire per il resto della città, con i suoi condomini fantasma in cui non c’è un segno di vita, in cui la vita sociale non c’è più, non c’è lavoro. E comincia a venir meno la speranza di poter ricominciare. Un’ovazione ha salutato il presidente che andava via.
Ai parenti delle vittime, i cui noni saranno scanditi nel corso della funzione, agli studenti, agli aquilani che sono venuti a salutarlo e farsi confortare Giorgio Napolitano ha portato la garanzia del ricordo consapevole di tutto il Paese che lui rappresenta «al di là della mia persona». «L’Aquila non ha solo bisogno di lavoro, di studio e delle attività quotidiane dei suoi cittadini, ma anche della rinascita del suo bellissimo centro storico» dice il Capo dello Stato che invita a proseguire sulla strada del confronto per affrontare il resto del percorso della ricostruzione perché «per noi L’Aquila vale quanto la più grande delle nostre città storiche». Dal luogo in cui ci sono stati scontri anche accesi in questi anni, ma che sono stati anche superati nell’interesse delle collettività, il presidente ha allargato l’orizzonte. «La discussione è sempre lecita all’interno delle istituzioni dove sono rappresentate le forze politiche ma, innanzitutto, sono rappresentati i cittadini attraverso i loro eletti». Ma se è «naturale che si discuta e che vi sia diversità di giudizio e di opinione, l’importante è il senso della misura. L’importante è che le distinzioni non superino mai un certo limite e non diventino mai un elemento distruttivo».