l’Unità – Le scorie e i sondaggi. L’addio al nucleare è vero?

20 Aprile 2011 0 Di luna_rossa

 

 

l’Unità.

Se non ci fosse quella cattiva, sarebbe un’ottima notizia. Lo stop del governo al programma nucleare italiano, di questo si tratta, rallegra gli animi e placa le ansie. Non era necessario aspettare la nube di Fukushima per ricordarci le incertezze sismiche del nostro Paese: non saremo il Giappone, ma quanto accaduto a l’Aquila, Irpinia, Friuli, Messina può bastare a suggerire che l’Italia non sia il migliore dei luoghi per estrarre energia dagli atomi. Se a questo aggiungiamo una certa tendenza alle mazzette e agli appalti ambigui (le repubbliche passano, le cricche restano) ecco che l’idea di tornare al nucleare solleva non pochi dubbi: nel Paese dei piloni mancanti e del cemento impoverito (casa dello studente all’Aquila e inchiesta Calcestruzzi) siamo sicuri che le centrali sarebbero state costruite senza ombre e senza sospetti? Che alla fine non sarebbero spuntate, di nuovo, case regalate e massaggiatrici generose? Pensieri malevoli, certo. Ma trattandosi di tecnologie ad alto rischio (il nucleare sicuro per il momento è un ossimoro) bisognerebbe essere in grado di poter escludere ogni sospetto. A cominciare dalla presenza degli amici degli amici. O dei furbetti dell’impiantino.

Tutto questo, come si vede, ha poco a che fare con il disastro giapponese. Ma molto con la realtà italiana. E ci porta dritti alla cattiva notizia: l’improvviso dietrofront del governo, lo stesso che pochi minuti dopo l’incidente ci informò che il nucleare italiano non si sarebbe mai fermato (Cicchitto) e che non era il caso di cedere all’onda emotiva (Alfano). A cosa si deve allora questo rapido ripensamento? Non certo a una illuminazione sulla via di Fukushima. Forse sbagliamo, ma il sospetto è un altro. Come avrebbe detto il conte Ugolino, che di energia non s’intendeva ma di scelte difficili sì, “più che il nuclear potè il terrore”: quello di un voto contrario alle amministrative prima e ai referendum dopo. Un filotto micidiale per un governo ancora forte in Parlamento ma ormai debole nel Paese. Lo dicono i sondaggi, lo pensa la Lega (che in un centinaio di comuni correrà da sola) e lo conferma la Moratti che per non perdere Milano ha chiesto al Pdl di toglierle dai piedi quel tizio che, interpretando il pensiero del premier, ha avuto la stravagante idea di stampare dei manifesti in cui si paragonavano i giudici alle Br. In questo clima di scorie politiche, aggiungere quelle radioattive del nucleare avrebbe avuto effetti esplosivi per l’intera maggioranza. Una bomba che Berlusconi ha pensato bene di disinnescare togliendo dal tavolo elettorale l’argomento atomico.

Esiste un’altra spiegazione, che cioè il governo non avrebbe rinunciato al nucleare ma a “questo” nucleare. E che al posto delle ingombranti centrali Epr commissionate alla Francia – troppo vecchie e troppo grosse – si starebbe orientando verso i piccoli impianti americani della Westinghouse, spacciando le minori dimensioni per un prodigio della tecnologia. Sarebbe forse questa, spiega Roberto Rossi a pagina 5, la ragione della criptica frase contenuta nel documento di ieri in cui, parlando di addio al nucleare, si lascia in realtà uno spiraglio ancora aperto. La triste notizia, dunque, è che a guidare le scelte dell’esecutivo non sia stato il buon senso e la ragione. Ma il calcolo e la convenienza.

Il nucleare italiano non è stato fermato in quanto poco sicuro e troppo costoso (come dicono ormai tutti) o perché dobbiamo anche noi investire nelle rinnovabili dimenticate (vedi lo sciopero di oggi del settore fotovoltaico): no, è stato abbandonato perché troppo impresentabile da portare in campagna elettorale. È la conferma, inquietante, di vivere a bordo di una nave abbandonata, lasciata senza bussola e senza timone nel mezzo di una vivace tempesta. Un bastimento sul quale si vive alla giornata e dove, privi di uno straccio di rotta (che so, un piano energetico, una strategia industriale), si inseguono umori e sondaggi. E magari qualche affare. Con la spiacevole conseguenza che a furia di pensare al presente si dimentica tutto il resto. Ad esempio il futuro.