monitorimmobiliare.it – Il punto di aggregazione della comunità immobiliare italiana
2 Aprile 2011 0 Di ken sharomonitorimmobiliare.it – Il punto di aggregazione della comunità immobiliare italiana.
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– Dalla fine degli anni Novanta fino al 2005 (e in alcuni casi fino al 2007), 179 famiglie milanesi, residenti negli stabili delle società del gruppo Ligresti, hanno versato canoni d’affitto a prezzo di mercato, invece che a equo canone come previsto dal piano di lottizzazione adottato con convenzione urbanistica.
Per questo le società erano state condannate a risarcirle della differenza, già calcolata per alcuni dei ricorrenti in circa 2,5 milioni di euro.
Ora dieci delle numerose sentenze emesse dai giudici del Tribunale civile di Milano, a carico dell’Immobiliare Lombarda spa, dell’Immobiliare Milano Assicurazioni srl e della Fondiaria Sai spa, sono state confermate dai giudici della terza corte d’appello.
Altre dodici sentenze restano pendenti.
I procedimenti riguardano i residenti degli stabili di via Tomaselli 1, via Rosselli 1, via Bugatti 13, via Fraschini 22, di via Castellanza 6, 8 e 10 e di altri palazzi in giro per la città.
In tutto 179 ricorrenti che negli anni hanno versato a titolo di canoni locatizi somme in eccedenza rispetto al dovuto in virtù di quanto previsto nella convenzione di lottizzazione stipulata negli anni Ottanta tra il Comune e la Immobiliare Vega srl poi sostituita nel tempo dalle due spa e dalla srl.
Convenzione che prevedeva l’obbligo per l’allora società costruttrice e i successivi proprietari di affittare gli immobili oggetto del piano di lottizzazione, prevedendo una misura di canone di locazione parametrata alla legge 392 del 1978 – la legge sull’equo canone appunto – piuttosto che a prezzo di mercato.
La causa pilota, per conto di 84 famiglie residenti in via Tomaselli e che ha determinato tutti i ricorsi successivi, era stata promossa dall’avvocato Alessio Straniero nel 2003, dopo aver trovato un documento relativo all’edificazione dell’immobile, scoprendo che gli inquilini stavano pagando più del dovuto.
In primo grado, i giudici di questo e dei successivi ricorsi hanno dichiarato che in base alla convenzione la società costruttrice dei palazzi si era obbligata «per sé e i suoi eventuali successori o aventi causa a concedere in locazione una quota di volumi abitativi privati” e “a determinare il canone d’affitto in conformità alla legge 392 e successive modificazioni”.
Una disposizione di “carattere imperativo”, sostenevano i giudici, che la spa aveva ignorato, commettendo “una condotta contraria ai canoni di buona fede”.
Per questo la società e i suoi successori erano state condannate a restituire ai ricorrenti le somme pagate in eccedenza.
Poi però, tutte le sentenze sono state impugnate.
Ora la terza corte d’appello, presieduta dal giudice Baldo Marescotti, ha dichiarato che la legge 392/1978 è l’unica norma “esclusivamente e imperativamente applicabile per quanto di ragione alle singole clausole dei contratti di locazione di appartamenti, autorimsesse e posti auto” oggetto delle cause.