Odilon Redon, il principe del sogno

2 Aprile 2011 0 Di macwalt

Odilon Redon – Corriere della sera

AL GRAND PALAIS UNA MONOGRAFICA SULL’ARTISTA SIMBOLISTA

Giù negli inferi e ritorno: il percorso onirico d’un pittore «vittima» del suo animo borghese. Incisioni e carboncini ricordano David Lynch

L’autore di opere cupe con strani ragni dal viso semiumano, occhi a mongolfiera e scheletri seduti a tavola, l’amico di Stéphane Mallarmé e l’ammiratore di Baudelaire era un distinto signore fotografato, in abito a tre pezzi, con curata barba bianca e gemelli al polso, nel borghesissimo appartamento in avenue de Wagram, pochi anni prima di morire. Niente bohème, né assenzio, nessun atelier da pittore, zero eccessi. «Che disgrazia essere un borghese», confidava già da giovane al suo maestro Rodolphe Bresdin. Odilon Redon, nato a Bordeaux il 20 aprile 1840 e morto a Parigi il 6 luglio 1916, concentrò nell’arte tutti i suoi demoni. Il suo stile di vita, accettato più che scelto, rimase pressoché immutato per tutta la sua esistenza; il suo stile pittorico, al contrario, conobbe il passaggio dal buio alla luce, dai soggetti onirici e surreali ai vasi di fiori, dai toni oscuri all’esplosione di colori. 

Questa trasformazione è rispecchiata nell’allestimento della mostra al Grand Palais di Parigi intitolata «Odilon Redon – Prince du rêve». Il primo periodo è raccolto al primo piano e attraverso una scala illuminata con luce viola si scende poi al pianoterra dove, tra le altre opere, è ricostruito lo splendido «pastello gigante», la decorazione a temi floreali della sala da pranzo del castello del barone di Domecy, uno dei maggiori collezionisti e sostenitori dell’arte di Redon.

Il «principe del sogno» nacque pochi giorni il ritorno dei genitori dalla Louisiana a Bordeaux, ed è cresciuto poi immerso nella solitudine della proprietà di campagna dei Redon a Peyrelebade, allevato dalle tate e da uno zio mentre il resto della famiglia viveva in città. Gracile, sofferente di crisi epilettiche, Odilon fino all’età di 11 anni non è andato a scuola e ha passato molto tempo a fare lunghe passeggiate tra le vigne del Médoc e il mare. «L’oceano, che un tempo copriva questi spazi deserti, ha lasciato nell’aridità delle loro sabbie un soffio di abbandono, di astrazione », ha scritto Redon. E ancora: «Da bambino, cercavo le ombre; mi ricordo una grande gioia a nascondermi sotto le tende, negli angoli bui della casa. E fuori, in campagna, che fascino il cielo esercitava su di me! Ho passato ore, o meglio giornate intere, disteso a terra, a guardare passare le nuvole, a seguire, con un piacere infinito, lo splendore fiabesco dei loro fugaci cambiamenti. Non vivevo che dentro di me, con una repulsione per qualsiasi sforzo fisico».

Odilon Redon, il principe del sogno: le opere in bianco e neroOdilon Redon, il principe del sogno: le opere in bianco e nero Odilon Redon, il principe del sogno: le opere in bianco e nero Odilon Redon, il principe del sogno: le opere in bianco e nero Odilon Redon, il principe del sogno: le opere in bianco e nero Odilon Redon, il principe del sogno: le opere in bianco e nero Odilon Redon, il principe del sogno: le opere in bianco e nero Odilon Redon, il principe del sogno: le opere in bianco e nero

Nel 1851 Redon raggiunse i genitori a Bordeaux e cominciò ad andare a scuola: dopo un simile apprendistato alla socialità, gli scambi con i compagni non furono facili. Redon era timido e solitario, ma un mondo interiore così sviluppato gli fornì ampio materiale per mettere a frutto il talento naturale per il disegno. Dopo la scuola i genitori lo volevano architetto, ma a Parigi fu bocciato all’orale di matematica nella prova di ingresso all’École des beaux- arts. Rotti gli indugi, si dedicò alla pittura, per avere però successo con il primo album di litografie, «Dans le rêve» e poi con i carboncini (i celebri «Noirs»): con un’estetica che può ricordare oggi il David Lynch di «Eraserhead », Redon si dedicò a mostri, angeli caduti, soli neri, occhi, sfere, uova con naso e bocca. «Tutto si crea tramite la sottomissione docile all’arrivo dell’inconscio », ha spiegato. Un modo onirico e simbolista che sfocerà poi gradualmente, e a sorpresa, nel classicismo del secondo periodo, inaugurato dall’opera di transizione «Les yeux clos».

Odilon Redon, il principe del sogno:l’esplosione dei coloriOdilon Redon, il principe del sogno:l'esplosione dei colori Odilon Redon, il principe del sogno:l'esplosione dei colori Odilon Redon, il principe del sogno:l'esplosione dei colori Odilon Redon, il principe del sogno:l'esplosione dei colori Odilon Redon, il principe del sogno:l'esplosione dei colori Odilon Redon, il principe del sogno:l'esplosione dei colori Odilon Redon, il principe del sogno:l'esplosione dei colori

«Le radici di Redon affondano nel romanticismo — scrive il curatore della mostra, Rodolphe Rapetti —. È nato un quarto di secolo prima dei protagonisti più significativi del simbolismo, al quale non aderirà mai formalmente, anche se a posteriori ne appare uno degli inventori, se non addirittura il creatore più originale e determinante. Questa coscienza storica gioca senza dubbio un ruolo essenziale nell’aspetto malinconico della sua opera. Sembra miracoloso, ed è un mistero probabilmente insolubile, come questa ombra abbia poi potuto generare una tale luce». L’introverso Odilon Redon fu tuttavia estremamente influenzato dagli altri artisti e curioso delle loro opere; creò album e quadri ispirati e dedicati a Gustave Flaubert, Edgar Allan Poe, Goya, e dipinse un ritratto dell’amico Paul Gauguin. Celebre per i suoi «neri», finì per abbandonarli quasi completamente. «Ho voluto fare un carboncino, come una volta — ha scritto nel 1902 a Maurice Fabre —: impossibile. In fondo, noi non sopravviviamo che grazie a delle nuove materie. Ormai ho sposato il colore, mi è difficile farne a meno».

Una polarità ricomposta, infine, con l’opera del 1911 «La Nuit et le Jour»: due enormi pannelli, realizzati per decorare la biblioteca di Gustave Fayet all’abbazia di Fontfroide. Il primo ispirato ai «Noirs», il secondo che riprende la luminosità e i colori del carro di Apollo, opera centrale della seconda fase. Fu l’ultimo exploit prima della consacrazione a New York e, cinque anni dopo, della morte.