Gli Altri Online La Sinistra Quotidiana – Berlusconi è al tramonto. Ma il nuovo mondo della sinistra chiede di più

2 Luglio 2011 0 Di luna_rossa

 

Gli Altri Online La Sinistra Quotidiana.

fotografia web da redazione N.R.

Con un appello ai “nativi” del Pd Bersani ha inaugurato qualche giorno fa il nuovo corso del suo partito. I “nativi” sono quei militanti ed elettori che fanno col Pd la prima esperienza politica. Statisticamente, essendo il paese enormemente invecchiato, con vecchi quindi carichi di passato, e il voto giovanile abbastanza volatile, rischia di essere un calcolo errato e di diventare un’illusione ottica. Tuttavia il messaggio del segretario vuol celebrare fastosamente i positivi risultati elettorali e i sondaggi favorevoli. I suoi militanti, ancora stupiti per la calma apparente nel dibattito interno, ingoiano voluttuosamente il “Frullato Bersani”, bevanda estiva in cui si mescola un po’ di partito a vocazione maggioritaria alla Veltroni, l’attenzione alle alleanze di D’Alema, gli appelli al ricambio generazionale dei “rottamatori” auto-rottamanti e tanto ghiaccio per sedare gli appetiti delle correnti.

Bersani smentisce anche la dannazione storica che ha visto a sinistra un emiliano mai arrivato tanto in alto nel ghota di partito. I giornalisti che lo descrivevano come indeciso e inadeguato oggi sono più ossequiosi. Persino il cambio della guardia all’Unità è vissuto senza gli psicodrammi delle volte precedenti. Agli alleati Bersani impone di non disturbare rinviando a tempo debito l’appuntamento delle primarie e la nascita della coalizione. Del resto non muovendosi praticamente mai, il segretario del Pd è riuscito a riassorbire tutte le fronde intestine e a contenere le ambizioni dei competitors esterni. Tutto bene, dunque? Le cose non stanno proprio così.

Lo stato di grazia del Pd nasce dall’accelerazione che sta subendo la crisi del berlusconismo. Una crisi a tutto campo, nella leadership, nel sistema di alleanze, con il nervosismo di una Lega divisa al proprio interno e in crisi di consensi, e soprattutto improvvisamente con una destra priva di una narrazione per i colpi che l’ottimismo ultra-liberista sta ricevendo dalle difficoltà drammatiche dell’economia. L’intera società si è rimessa in movimento. I blocchi elettorali si stanno sgretolando, l’immaginazione si misura con il pesante condizionamento della realtà. La destra vede i suoi elettori storditi e disillusi, la sinistra si gode cifre elettorali finalmente positive. Uno sguardo non superficiale a questo mondo in subbuglio dice tuttavia che i nuovi consensi vanno soprattutto a candidati fuori dalle regole, Pisapia e de Magistris, e si esprime in referendum a cui credevano in pochi nello stato maggiore dei democrats.

Questo mondo è diverso dal movimento dei “girotondi”. Quello fu la manifestazione di una lotta interna alla sinistra che la sinistra riformista regolò in poche battute dopo il grande spavento iniziale. Questi nuovi movimenti portano invece il segno della crisi di un intero apparato culturale, di cui si è cibato anche un pezzo di sinistra, hanno un’ampiezza sociale più larga, non chiedono di essere diretti semmai di dirigere. La manifestazione del 110° anniversario della Fiom ne ha dato un ritratto veritiero. La classe operaia scomparsa si è presa la prima scena, i precari hanno rivendicato non il diritto alla sopravvivenza degli emarginati, come li descrive una stampa compassionevole, ma la volontà di decidere di migliaia di persone attrezzate culturalmente e professionalmente. Non erano antagonisti ma neppure neo-riformisti ansiosi di unirsi ai riformisti d’antan.

Quel che voglio dire è che il fiume carsico è emerso, probabilmente si reimmergerà fra le rocce interne ma è destinato a trovare un letto in superficie per scorrere potente e inarrestabile. Elettoralmente questo popolo di sommersi volta le spalle alla destra ma non concede deleghe alla sinistra per come è fatta oggi. La sinistra se ne può giovare in qualche circostanza elettorale ma può anche svegliarsi scoprendo che “l’hanno rimasta sola”. Il dato che tutti trascurano è che quel che è crollato nell’immaginario collettivo è il mito del mercato, del governo come problema, dello stato ridotto all’osso, della società thatcherianamente inesistente. L’individualismo egoista di oltre un ventennio, per non dimenticare gli anni craxiani, scopre la solidarietà, i beni pubblici e il potere. Bersani, come il Prodi immortalato da Corrado Guzzanti, immobile nel tempo, rischia di vedere accrescere il suo primato nella coalizione e nel sistema politico ma di non vedere che la terra, sotto di lui, trema. La storia presenta il suo conto ma soprattutto scade la cambiale culturale che la sinistra aveva emesso a vantaggio del clintonismo e del blairismo, versione umana del mercatismo e della globalizzazione. I filosofi del diritto che erano diventati i guru culturali di una sinistra ansiosa di dimenticare le proprie origini improvvisamente scoprono che c’è una vecchia talpa che ha ripreso a scavare e che il grande vecchio con la barba ci aiuta ancora a capire il mondo.

L’orgoglio bersaniano e l’appello ai “nativi” rendono arduo il compito anche degli altri due competitors del ministro delle lenzuolate liberalizzatrici. Vendola rischia di scoprire di esser partito troppo presto nella gara per la leadership. Il paradosso è che la sua cultura lo mette nelle condizioni di capir bene quel che si sta muovendo ma la sua ambizione può portarlo fuori strada. I nuovi tempi portano il suo segno. È lui che ha ridato slancio ad una sinistra dispersa facendola uscire dalla riserva indiana in cui il veltronismo l’aveva relegata, è lui che ha capito che nel mondo degli elettori ha preso il sopravvento il cittadino protagonista, è lui che ha estirpato uno per uno i paletti conficcati nel terreno dagli ortodossi del riformismo. Tuttavia la sua ossessione di ridurre questa dialettica alla scelta del candidato premier può tarpargli le ali e non fargli intercettare un movimento politico sociale che non chiede leader ma vuole essere protagonista di una rivoluzione culturale.

Non ha questo problema Di Pietro. In quasi vent’anni di politica politicante ha incarnato vari ruoli e quello di oggi, recettore dello scontento di destra, è quello che gli è più congeniale. Di Pietro ha capito che il movimento giustizialista si sta esaurendo, il grillismo infatti è un’altra cosa, e che la svolta operaista, suggerita da Zipponi, è un vestito a nolo. Torna così alle origini, risfodera un’inedita vocazione a incarnare una destra sociale senza smettere i panni del poliziotto a perenne caccia di ladri. La sua non è una svolta moderata e, in senso stretto, non è neppure una svolta. L’antico sbirro vede il suo nemico piegato dall’affanno e allunga lo sguardo oltre di lui.

Può un centro-sinistra così combinato sostituire Berlusconi? Probabilmente sì, perché la crisi politica è troppo profonda. Il rischio, tuttavia, è che molti leader di questo campo credano di poter pronunciare finalmente quell’heri dicebamus che sognano di dire da vent’anni considerando il berlusconismo un inspiegabile accidente. Invece è stato ed è un fenomeno profondo che nasce dagli ultimi gemiti di una cultura liberista seppellita dalla crisi finanziaria del 2008. E questa dovrebbe aiutare i leader della sinistra a misurarsi con le novità del mondo d’oggi e non solo con i fantasmi dell’89. Il comunismo è morto, ma anche il capitalismo celebrato da Blair e Clinton non se la passa bene.