Gli Altri Online La Sinistra Quotidiana – Genova, anno uno del nuovo mondo: la mappa delle rivolte dal 2001 ad oggi
22 Luglio 2011 0 Di luna_rossaGli Altri Online La Sinistra Quotidiana.
fotografia da L’Unità.it – da archivio redazione N.R.
Autore: Alain Bertho
Venti luglio 2001: sarà un compito difficile ricostruire lo spirito che ci apparteneva quando abbiamo appreso la terribile notizia. Non avevamo noi forse, quando vivevamo quelle ore, la testa ancora immersa nel secolo precedente? Certo, sei mesi prima a Porto Alegre delle energie cosmopolite e militanti avevano inventato con molteplici speranze un nuovo orizzonte collettivo, quello dell’altermondialismo e dei Forum sociali. Quella nuova mobilitazione mondiale era giovane, inventiva, tollerante, non violenta. L’appuntamento di Genova si inscriveva in questa dinamica. Lo choc fu dunque più forte, la morte e la violenza incomprensibili. Appena qualche settimana dopo, l’11 settembre, balzavamo definitivamente in un nuovo mondo, un mondo dove la guerra sembrava dover rimpiazzare la politica.
Gli Stati Uniti e i loro alleati si lanciavano in una “guerra infinita” contro il terrorismo. La globalizzazione svelava allora il suo aspetto politico: quello di Stati infragiliti che dovevano trovare la propria legittimità nella risposta autoritaria e militare a delle minacce reali o presunte. Il decennio che abbiamo vissuto è stato fedele a quell’anno fondante. L’ingranaggio del conflitto non è stato smentito. Il suo campo si è addirittura allargato: Afghanistan, Iraq, Kosovo, Sudan, Somalia, e ora la Libia. Alcuni Stati si nascondono nel conflitto interno permanente come il Messico. Altri dichiarano guerra direttamente al proprio popolo come la Siria.
Quasi ovunque la logica securitaria è entrata a far parte delle modalità di governo. La paura, interna o esterna, è diventata uno strumento di potere molto in voga. Dopo Carlo Giuliani, questo decennio ha visto allungarsi la lista delle vittime altamente simboliche del confronto tra gioventù e potere. Dal 2001, 112 sommosse nel mondo sono scaturire dalla morte violenta di ragazzi per mano delle forze di polizia. Le tre settimane di scontri in Francia tra l’ottobre e il novembre 2005 dopo la morte di Zyed e Bouna, così come le tre settimane di scontri in Grecia nel dicembre 2008 in seguito all’uccisione di Alexis Grigoropoulos, hanno segnato l’intero pianeta. Oltre alla Francia – toccata per 17 volte – e alla Grecia, l’Europa non è certo tranquilla: due sommosse in Belgio, una in Spagna, una in Olanda, una in Portogallo e anche in Italia. Al di là dell’Atlantico: Argentina (7 sommosse), Brasile (2), Haiti, Messico, Nicaragua, Perù (2 volte), Santo Domingo (2), Stati Uniti (4) e Venezuela (3): tutti hanno conosciuto violente esplosioni di collera.
Sorprendono la similitudine e le circostanze delle modalità di espressione in Africa o in Asia. In questi ultimi dieci anni, rivolte conseguenti alla morte di un giovane hanno avuto luogo in Afghanistan, in Algeria (9 volte), Australia, Burkina Faso (3), Camerun, Cina (4), Canada, Colombia (4 volte), Costa d’Avorio, Guinea, India (10), Israele (2), Giordania (3), Kenya, Liberia, Mali, Maldive, Nigeria, Uganda, Pakistan (3 volte), Senegal, Zambia (2 volte), e naturalmente in Tunisia dove la morte di Mohamed Bouazizi il 17 dicembre 2010 ha originato un’onda che poi abbiamo chiamato “primavera araba”. Questo decennio di scontri, che sta registrando una crescita esponenziale delle rivolte intorno al mondo, comprese quelle organizzate ai margini dei G8 o dei summit della Nato, si conclude con qualche sollevazione vittoriosa. Lo choc dei popoli e degli Stati nazionali che gestiscono la globalizzazione è risultato di un’ampiezza e di una violenza che la profezia no-global del 2001 aveva appena abbozzato. Lo choc è appena iniziato. Il dominio delle logiche puramente speculative e finanziarie dapprima sull’economia, e poi sugli Stati, e infine sulla vita di donne e uomini, ci conduce a naufragi. Quello della Grecia è senza dubbio soltanto un antipasto.
Eppure ciò che il movimento no-global aveva comunque compreso con buon anticipo era il crollo dei dispositivi democratici tradizionali di azione e rappresentazione, l’inettitudine dei partiti, quali essi siano e in qualunque paese, a far fronte alle sfide del secolo, la necessità di creare nuove forme di organizzazione e azione, dei nuovi obiettivi che non siano unicamente legati alla presa del potere. I Forum sociali mondiali o continentali dal 2001 in poi hanno lavorato per lasciare i partiti e i gangli del potere ai margini. Gli “indignados” spagnoli, greci o portoghesi, come il movimento Y’en del Senegal, li hanno addirittura presi come capri espiatori.
Nessuna gerarchia, né rappresentazione, né portavoce: queste parole d’ordine del movimento no-global sono diventate realtà per le mobilitazioni contemporanee. Internet, Facebook e Twitter sono stati strumenti pressoché provvidenziali.
Sono già passati dieci anni? Solamente dieci anni, dovremmo dire. Dieci piccoli anni che hanno cambiato il mondo, il modo di pensare e di agire, di immaginare il futuro. In un certo senso, gli scontri per le vie di Genova il 20 luglio 2011 ci sembrano un poco “arcaici”. È con questo aggettivo che Giorgio Agamben nel saggio Che cos’è il contemporaneo? designa gli avvenimenti oscuri che acquisiscono davvero senso soltanto dopo molto tempo. È dunque il seguito della storia che ci permette di distinguere che cosa avessero di originale, ciò che davvero annunciavano. Le Tute bianche e i Disobbedienti a quel tempo erano soltanto alcuni. La mobilitazione degli “indignados” e delle “reti sociali” sta diventano la cultura politica di una intera generazione.