Retroscena . Non c’è accordo con la Lega sugli arresti. Silvio teme il governissimo.
«Umberto devi capire che se passa la logica degli arresti verremo travolti tutti». Quando Silvio Berlusconi si chiude nella stanza del governo con Bossi e Tremonti, è plumbeo.
Stanco, provato, il volto del Capo è una maschera di paura. Per quegli strani scherzi del destino anche una lieve ferita sulla testa dovuta a una caduta notturna in bagno dà l’immagine di un leader allo stremo. All’alleato, dopo l’astensione su Papa, chiede di tenere le sue truppe nel momento più difficile, di non cedere alla tentazione di agitare cappi in parlamento.
Ma «Umberto» non dà assicurazioni. Né le dà nell’incontro successivo, quando i due viaggiano insieme sull’aereo che porta a Milano. Ed è proprio la posizione del Carroccio che evoca la slavina della prima repubblica. Il premier ha la sensazione che si sta consumando una frattura con l’alleato. Già in mattinata aveva chiamato Bossi chiedendo di votare in giunta col Pdl. E dopo poche ore la Lega si è astenuta su Papa, col suo leader che ha messo a verbale una dichiarazione d’altri tempi: «In galera». Ecco lo spettro di una nuova tangentopoli. Allora i cappi, ieri il voto su Papa. E il punto è che non si tratta di un caso isolato. Il voto sull’ex magistrato coinvolto dallo scandalo P4 è solo il primo in ordine di tempo. Poi c’è quello su Milanese, e le carte sul braccio destro di Tremonti sono ancora più inquietanti. C’è la richiesta di arresto, già depositata alla Camera, nei confronti di Minasso, parlamentare ligure del Pdl. E ci sono le notizie di un frenetico attivismo sulle procure, pure sul premier: «Qua – sbotta il Cavaliere coi suoi – può succedere di tutto. Dobbiamo impedire un nuovo ’92».
Berlusconi teme un effetto domino. E teme che, arresto dopo arresto, possa diventare inevitabile un governissimo, con tanto di benedizione del Colle. Con i poteri forti e la grande stampa che soffiano sul fuoco, una crisi nient’affatto archiviata, il passaggio da un governo “sotto tutela” del Quirinale a un governo “di tutela del paese” benedetto dal Quirinale è assai breve. Ecco che il premier schiera il partito degli onesti come una falange a difesa degli indagati: «Non faremo la fine di Craxi e Forlani, non ci faremo abbattere a colpi di inchieste». Chiuso nella stanza del governo, riceve tutti, spiega che è il momento di stare compatti, senza distinguo. Rassicura Papa, in vista della votazione di mercoledì prossimo: «Stai tranquillo che voteremo contro. Sono contrario ai processi in Aula. L’arresto di un parlamentare sarebbe un precedente gravissimo, dobbiamo impedirlo. Noi siamo un partito garantista». Prende sotto braccio Romano: «Non devi dimetterti, devi resistere».
Per far digerire alla Lega la difesa a oltranza degli indagati, e per mettere il silenziatore ai maldipancia agli ex An – pure loro nel ’92 inneggiavano alle manette – il Cavaliere chiede a Papa di sospendersi dal gruppo del Pdl, e un gesto analogo è stato chiesto a Milanese. Come a dire: ammettiamo, fino a un certo punto, che c’è una questione di opportunità, ma non cediamo di un millimetro rispetto all’attacco delle procure. Chissà se basta. Stavolta, per Berlusconi, rischia davvero di saltare tutto. Per questo il premier rompe il silenzio in modo inusuale, approvata la manovra. Nessuna conferenza stampa, nessuna dichiarazione a braccio, si limita a leggere una dichiarazione scritta che pare il sonoro dell’imbarazzo: «Le cose che sono recentemente accadute e che mi hanno riguardato da vicino sono tali che se io dicessi quello che penso davvero sarebbe stato qualcosa che non avrebbe coinciso con l’interesse del paese in questo momento di attacchi internazionali. Il mio senso di responsabilità mi ha impedito di dichiarare quello che penso a riguardo».
Il timore è che l’incidente sia dietro l’angolo, meglio evitare frasi incendiarie. Soprattutto ora che nel Carroccio in molti invocano la svolta giustizialista pensando al grande cambio. Come Roberto Maroni che ha rassicurato più di un parlamentare avvelenato sulla manovra: «Stiamo calmi – ha scandito – che a settembre cambieranno molte cose». Il grande cambio è legato al destino di Giulio Tremonti: «Se viene coinvolto nell’inchiesta – dice un ministro a microfoni spenti – o se escono carte imbarazzanti potrebbe decidere di mollare. A quel punto il governo è a rischio». Per la prima volta lui, «Giulio», non minaccia più di andarsene per piegare il premier. E per la prima volta Berlusconi spera che il superministro non se ne vada. L’effetto sui mercati – delle dimissioni, degli scandali – sarebbe devastante. E in questo quadro, ammettono in molti, non è facile trovare un sostituto all’altezza. È più facile che per far fronte a una situazione pesante, insostenibile, ingovernabile, in molti puntino su un nuovo premier.