Richiami . Il Quirinale chiede al governo un chiarimento sul decentramento dei dicasteri. L’ira del premier: «Non perde occasione per riprenderci». Nitto Palma, oggi o domani, nuovo Guardasigilli, grazie alla pressione di Gianni Letta. Freddo il Cavaliere.
«Non perde occasione per bacchettarci. Non è la prima volta che il capo dello Stato si attacca a tutto pur di metterci in difficoltà. È il solito schema: aspetta il momento giusto e colpisce». A stento Silvio Berlusconi riesce a trattenere la rabbia verso Giorgio Napolitano.
Perché stavolta la sorpresa proprio non se l’aspettava. Rientrato a Roma, il premier trova sulla sua scrivania una lettera in cui il capo dello Stato esprime «rilievi e motivi di preoccupazione sul tema del decentramento delle sedi dei ministeri sul territorio». Una richiesta di chiarimento formale su un punto delicatissimo nei rapporti con la Lega. Al netto della propaganda, per il Colle c’è molto da chiarire. Nella lunga e argomentata missiva si sottolinea la confusione che si è creata sull’iniziativa. A partire dallo strumento adottato, il decreto ministeriale, come si trattasse di un semplice atto amministrativo. Per non parlare del pasticcio linguistico per cui non si capisce se si tratta di «uffici periferici» o di «sedi di rappresentanza». Il che impatta sulle prerogative costituzionali di Roma capitale. Il metodo utilizzato insomma assomiglierebbe a un sotterfugio, buono a confondere atti amministrativi e scelte politiche, senza peraltro coinvolgere il parlamento.
Un fulmine, quello di Napolitano. Che polverizza le speranze del premier di far passare tempo, per chiarire fino in fondo i rapporti col Carroccio, senza scossoni. Ecco l’ira incontrollabile del Cavaliere: «Non siamo un governo a sovranità limitata. Risponderemo a quello che ci chiede, ma certo non possiamo essere commissariati dal Colle». Il sospetto è che il «cavillo» serva a infilare un cuneo nel fragile equilibrio raggiunto, a far vedere l’iniziativa per quello che è, una trovata propagandistica, e nulla di più. Il che aggiungerebbe un problema, e non piccolo, nei rapporti con Bossi, proprio ora che il premier considerava pagato il pegno all’alleato.
Ma c’è un motivo se da palazzo Grazioli è immediatamente partito l’ordine ai dichiaratori di tenere bassi i toni: «Non possiamo permetterci un incidente né col Quirinale – dice un azzurro di rango – sennò qua salta tutto». Già, salta tutto. Il premier vede nero. Come se fosse ripartita la manovra per disarcionarlo alla prima occasione utile, con la regia del Colle. È per questo che il Cavaliere ha scelto di giocare in difesa su molti dossier. A partire dal rimpasto. Proprio la paura di un altro intervento di Napolitano lo ha spinto a limitare al minimo il gioco delle caselle. E a non ascoltare, in quanti, come Denis Verdini, gli avevano suggerito un profondo rimpasto per avviare una fase due della legislatura: «Se tocchiamo più di un ministero, Napolitano ci chiede una verifica. E non siamo nelle condizioni di affrontarla in questa situazione».
C’è di più. Fosse stato per Berlusconi, avrebbe rimandato a settembre pure la sostituzione di Alfano alla giustizia. Poco convinto della rosa dei nomi che gli hanno sottoposto, dopo la manovra di Maroni teme che una volta liberato dal ministero, il suo delfino si metta a lavorare per il dopo, in ticket col ministro dell’Interno. Per questo ha preso tempo in tutti i modi, pure salendo al Colle con una lista di dodici nomi, buona per farsi dire: si schiarisca le idee e ritorni. Segno dei tempi, però, ieri pare aver capitolato. È stato Gianni Letta a orchestrare la forzatura su Nitto Palma. E ad allertare il Quirinale che avrebbe giurato questa mattina, al massimo domani. Tradotto: Berlusconi, proprio sul ministero che considera cruciale per la sua sopravvivenza, ha ceduto al pressing di Alfano e di Gianni Letta. Il blitz, orchestrato ieri in un vertice notturno con Verdini, Alfano e Letta, prevederebbe tutto in poche ore: dimissioni dell’attuale guardasigilli e nomina del nuovo in mattinata. Al massimo l’operazione potrebbe slittare di un giorno, non di più.
Il sospetto del premier è che la mossa di Napolitano sia legata anche a questa accelerazione. Nitto Palma, uno che nel ’94 era a via Arenula con Alfredo Biondi ai tempi del decreto «salva ladri», e che è cresciuto come ombra di Cesare Previti, potrebbe non piacere al Colle. O meglio potrebbe non avere quei requisiti di alto profilo richiesti dal Quirinale per la poltrona di via Arenula: «La verità – spiega un ministro a conoscenza del blitz – è che Napolitano con la lettera sui ministeri ha fatto in modo di far salire Berlusconi al Colle col capo cosparso di cenere, in posizione di difetto». E il premier, per paradosso, si troverà costretto a difendere come sua una scelta che ha subito.