Il Riformista – La difesa di Bersani

26 Luglio 2011 0 Di luna_rossa

Il Riformista.

di Tommaso Labate

La versione di Pier Luigi. Penati lascia la vicepresidenza del Consiglio regionale e gli incarichi di partito. Il segretario scrive al Corsera: «Non è vero che sono stato zitto. I nostri parlamentari si comportino come i comuni cittadini».

Nella foto: Pierluigi Bersani

Prima concorda il «doppio passo indietro di Penati» col diretto interessato. Poi Bersani prende carta e penna. E scrive al Corriere della sera. Questione morale? «Quella del Pd è una diversità politica».
La gestione dell’affaire Tedesco al Senato, che ha provocato una rivolta nel partito, trasversale rispetto alle correnti d’appartenenza. E poi l’inchiesta sull’area ex Falck di Sesto San Giovanni, che ha travolto Filippo Penati. Quindi quelle due paroline, «questione morale», che di nuovo sono accostate al partito che dirige. Eppure, ai piani alti del quartier generale del Nazareno giurano che l’accusa che ha più sorpreso Bersani è stata quella rivoltagli da chi – con un sussurro o un urlo – l’ha accusato di essersene stato zitto. «Non è assolutamente vero», continua a ripetere il leader dei democratici mentre scrive la lettera al Corriere della sera. «Sono stato il primo ad aver parlato. L’ho fatto giovedì 21 luglio, alla Festa dell’Unità di Roma, davanti a 4000 testimoni».
In quell’occasione aveva definito un «fulmine a ciel sereno» l’inchiesta sull’ex capo della sua segreteria politica, sottolineato l’«atteggiamento rigoroso del Pd» e ventilato un possibile passo indietro dell’ex assessore alla Sanità pugliese. Quest’ultimo punto, adesso, si trasforma in una richiesta esplicita: «Tedesco dovrebbe lasciare Palazzo Madama».
Ma il segretario, che da giorni aveva fiutato un «clima strano» («In giro c’è chi vuol far passare il messaggio che i politici sono tutti uguali, chi fa il gioco dell’oca sulla nostra pelle per rispedirci indietro al ’93», aveva detto in una riunione alla Camera la settimana scorsa), sa che l’autodifesa in sé per sé è inutile. Se non dannosa. Per questo, soprattutto nel week-end, intensifica il dialogo con Filippo Penati e concorda con lui il «doppio passo indietro» che l’ex presidente della provincia di Milano annuncia ieri. Le dimissioni da vicepresidente del consiglio regionale della Lombardia e l’arrivederci – che forse è proprio un addio – a tutti gli incarichi di partito. «Ribadisco la totale estraneità ai fatti che mi vengono contestati. Adesso voglio recuperare il mio onore», scrive Penati al presidente del consiglio regionale lombardo. E ancora, in una dichiarazione alla stampa: «Ho comunicato a Bersani la decisione di autosospendermi da tutte le cariche che ricopro nel Pd».
Quando il «doppio passo indietro» dell’ex capo della sua segreteria politica è dolorosamente agli atti – «anche se non si capisce perché, da Saverio Romano a Milanese, da Cosentino a Dell’Utri, da Brancher a Verdini, nessuno ha chiesto le dimissioni costoro» – “Pier Luigi” passa alla seconda parte del piano: la lettera al Corriere della sera. L’atto di difesa del Pd parte da una premessa che suona più o meno così: «Noi non siamo come gli altri. Perché vogliamo che i magistrati facciano il loro mestiere, perché abbiamo fiducia in loro e soprattutto perché, a differenza degli altri, non li abbiamo mai attaccati». Per questo «la nostra», è la rivendicazione del segretario, «è una diversità politica: i nostri parlamentari, deputati e senatori, sanno che non possono essere diversi rispetto al cittadino comune o agli immigrati» che, se investiti da un provvedimento di custodia cautelare, sanno di dover varcare le porte del carcere. Nonostante, è il sottotesto,la presunzione d’innocenza.
A corollario della sua tesi Bersani cita le regole interne del Pd e la scelta del suo partito di accogliere le istanze dell’Antimafia sulle candidature. «Abbiamo un codice etico severo, un codice per gli enti locali e altri filtri». Il che, ammette, «non ci rende immuni da errori». Per questo, prima di invocare una «riscossa civica», torna sul caso Tedesco. Chiedendo al senatore pugliese, forse inutilmente, di «fare un passo indietro».