La Gazzetta del Mezzogiorno.it | Tedesco: dimettermi? Darei ragione ai pm

22 Luglio 2011 0 Di ken sharo

BARI – La prima delle centinaia di telefonate ed sms che piovono da giorni, dopo il voto, è stata della figlia: «Papà, sono fiera di te». Ma il senatore Alberto Tedesco non si sente un eroe. E non si sente un giocatore di poker. Piuttosto, un mediano. «Ero davanti a un bivio – dice – e ho giocato sempre la stessa partita. Lo avevo detto: o mi tiravo fuori da questa storia utilizzando gli strumenti concessi dalla legge, oppure avrei chiesto al Senato di non intralciare il lavoro dei magistrati». Lo ha fatto, non lo hanno ascoltato: «Tutto il centrosinistra – dice ora lui, seduto ai tavolini di un bar del centro di Bari dove la gente non smette di fermarsi ad abbracciarlo – ora deve recuperare il suo atteggiamento originario e i valori del garantismo, collettivamente, isoldando gli atteggiamenti giacobini che in circostanze come questa si fanno sentire di più».

Tra quegli atteggiamenti, senatore Tedesco, lei ascrive anche la richiesta di dimissioni del segretario Pierluigi Bersani?

«Ho letto suoi giudizi di approvazione: ha definito dignitoso il comportamento che ho tenuto in tutto questo periodo. Mi fa piacere. Ma se Bersani deve chiedermi qualcosa, non può farlo attraverso i giornali. Tra l’altro mi sono autosospeso dal partito, quindi non vedo cosa potrebbe chiedermi».

Eppure Bersani non è l’unico che in queste ore chiede le sue dimissioni: Di Pietro, la Serracchiani, pure Belisario per quello che conta. Come pensa di uscire dall’accerchiamento?

«Mi sono dimesso dall’unico incarico che potessi lasciare, quello di assessore regionale alla Salute, due ore dopo la pubblicazione della notizia di un’indagine su di me. Se oggi accettassi le dimissioni, darei ragione all’impostazione della magistratura barese che ritiene potenzialmente criminogena la mia attuale funzione di senatore. È una cosa che non posso fare, non solo per me quanto per il rispetto che si deve all’istituzione parlamentare. E comunque, aggiungo che l’unica soluzione consiste nella possibilità di celebrare al più presto il processo che mi riguarda».

Resta il fatto, senatore, che lei non è finito agli arresti domiciliari per un combinato disposto tra il familismo di una parte del Pd e il doppiogioco della Lega.

«Rispetto al voto, divido l’aula del Senato in tre categorie. C’è chi ha detto una cosa e ne ha fatta un’altra, come la Lega, per ragioni di bottega e piccolo cabotaggio nell’alleanza di governo. C’è chi si è dimostrato garantista nel voto ma molto meno in ciò che è stato detto, vedi il Pdl e il proditorio intervento di Amoruso. E poi c’è chi ha fatto scelte diverse rispetto alle indicazioni di partito, peraltro rendendolo pubblico».

Una parte del Pd, appunto. Nella quale vanno annoverati i pugliesi. Anche Latorre e Mongiello, il cui voto favorevole all’arresto non risulta.

«Non c’è alcun giallo. I malfunzionamenti del sistema di votazione sono all’ordine del giorno. Quando se ne sono resi conto, i colleghi hanno dichiarato il loro voto alla presidenza, circostanza che al Senato accade regolarmente».

Nel Pd, a proposito degli ordini di scuderia arrivati dal partito, Gero Grassi ha parlato di «pratiche veterostaliniste». La linea di Bersani non piace a tutti…

«Evidentemente la sensibilità sul tema delle garanzie è molto più diffusa di quanto si possa immaginare, fatte le dovute eccezioni».

È una dichiarazione che andrebbe benissimo nel Pdl.

«Guardi, con la stessa determinazione con la quale ho chiesto al Senato il via libera all’arresto, ribadisco l’assoluta necessità di modificare l’istituto della custodia cautelare, soprattutto nella parte che affida insostenibili margini di discrezionalità ai pm. Ritengo che l’unico elemento che può giustificare una carcerazione senza processo consiste nel rischio di danno irreparabile verso la società o i cittadini. Mi pare che in questa direzione si sia mosso anche l’appello del presidente Napolitano ai nuovi magistrati».

Lei è certo che nel suo caso, più che il garantismo, non abbia prevalso un accordo trasversale?

«L’accordo non c’è stato, e non è stato nemmeno tentato grazie alla scelta intelligente del collega Latorre che in conferenza dei capigruppo ha chiesto che il voto su Tedesco fosse contemporaneo a quello su Papa».

Lei aveva chiesto di essere arrestato a voto palese. Forse troppo, anche per il parlamento italiano.

«È stato tutto compromesso da un tentativo del centrodestra di confondere le acque chiedendo il voto segreto. La responsabilità è di chi ha assunto una decisione incomprensibile, salvo che non si volesse proprio ottenere il caos come risultato».

Con che spirito, adesso, affronterà il processo che la attende?

«L’ho detto in aula e lo ripeto: il processo è la sede naturale in cui accertare fino in fondo la verità. Piuttosto, lamento in modo forte che la procura di Bari, nella persona del suo principale esponente, dopo aver dichiarato proprio alla “Gazzetta” che le indagini erano chiuse e che i pool si stavano sciogliendo, a distanza di due mesi non ha ancora formulato l’avviso di conclusione delle indagini. E così sta rallentando il momento del processo».

C’è qualcuno tra i suoi colleghi di partito che le è stato più vicino di altri?

«Molti. Latorre, Mongiello, ma anche Carofiglio, Maritati, Tomaselli, Procacci: hanno tutti condiviso con me tutte le tensioni».

E dei suoi ex colleghi della Regione?

«Mi hanno chiamato in parecchi, sia della maggioranza che dell’opposizione».

Il presidente Vendola?

«Lui no. Vendola deve aver smarrito il mio numero di telefono».