Ma chi sono questi ‘faccendieri’? – l’Espresso

24 Luglio 2011 0 Di luna_rossa

Ma chi sono questi ‘faccendieri’? – l’Espresso.

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L’opinione

Ma chi sono questi ‘faccendieri’?

di Giorgio Bocca

I giornali li chiamano così, ma in realtà si tratta di pidocchi. Che si attaccano ai politici e offrono loro case in centro, regali esentasse, lussi e comodità. Corrompendo la democrazia Bisignani

  Chi sono i faccendieri di cui sono piene le cronache e i moralismi? Come è possibile che questi pidocchi del malcostume corrente siano scelti come persone di fiducia da ministri e da alti funzionari dello Stato? A leggere ciò che ne scrivono i cronisti parlamentari o di gossip mondano, sono dei “bru bru” che ogni professionista per bene, giudice, avvocato, ingegnere, professore si guarderebbe bene dal frequentare.
E allora perché i nostri politici se ne circondano e li usano? Il mistero di Pulcinella è stato svelato dal nostro Filippo Ceccarelli, con il garbo micidiale che gli si conosce. Per la casa: non la casa qualsiasi dei cittadini normali ma la casa in vista di Montecitorio, raggiungibile magari a piedi in ogni ora del giorno e della notte anche se ci sono tumulti o scioperi. Una casa con vista del Colosseo o vicino al Pantheon.

Si dirà: ma che bisogno hanno dei faccendieri personaggi cui certo il denaro non manca? E’ evidente: perché per trovare delle case con quei requisiti è indispensabile per i potenti avere le mani in pasta nel mercato immobiliare, nei suoi non sempre limpidi do ut des, nelle frequentazioni degli altri faccendieri.
L’elenco dei piaceri e dei lussi dei faccendieri portati alla ribalta dagli ultimi scandali mette i brividi. Rischiano la galera, l’esclusione dalla buona società, la nomea di cafoni, e di emulare i “pescicani” della prima guerra mondiale, gli arricchiti volgari: automobili fuoriserie da centinaia di migliaia di euro, orologi da 20 mila euro, barche da ormeggiare a Portofino e feste continue per accontentare le mogli volgari e insaziabili che si scelgono come uomo della vita un faccendiere.

Ha colto nel punto debole i nostri potenti il cronista di modi gentili ma di penna tagliente. Se tu uomo di governo vuoi la casa in vista di Montecitorio devi tenerti in squadra il faccendiere che ha passato la vita a frodare il fisco e a fare loschi commerci. Quello che potenti di oggi, i ministri e i vari funzionari che si servono dei faccendieri, non riescono a capire è che l’unico modo per far parte degnamente di una classe dirigente è il taglio dai comodi e dai piaceri legati ai servi senza stile e senza morale.
Il ragionamento che i potenti fanno è chiaro, ed è lo stesso che faceva Enrico Mattei con i fascisti della prima Repubblica: io questi nemici o estranei alla democrazia li adopero come si adopera un taxi, salgo, mi faccio portare dove devo andare, e chi si è visto si è visto.

Non è così: l’antifascismo democratico ha predicato per tutto il regime l’intransigenza, ha insegnato a generazioni che era un errore venire a patti e a commerci con gli uomini del regime, l’opposizione a un regime autoritario non è possibile se poi si condividono i lussi, i condizionamenti, i comodi del potere.
Il ministro che per sposarsi ha bisogno di andare nella località del lusso massimo della Penisola sorrentina è uno che dà al Paese questo messaggio: io sono uno che predica bene e razzola male, uno che predica la lotta agli sprechi e la corretta amministrazione e che poi vi dimostra di avere i desideri e i piaceri dei faccendieri. In occasione dei matrimoni dei nostri uomini politici vige ancora la regola quasi obbligatoria della lista dei regali.

Quando si celebra la cerimonia del potente di turno il ceto dirigente cala per così dire la maschera e compilando la lista dei regali si confessa in pubblico: che serve al nostro caro collega di partito e di casta? Un uliveto, una villetta al mare, un servizio da tavola per ventidue? Esenti dalle tasse.
Ai tempi del grande potere democristiano la lista dei regali e la loro consegna assumevano un significato politico. Cronisti e fotoreporter venivano invitati di fronte alla casa del festeggiato per assistere alla sfilata dei doni, come se fossero arrivati dall’Oriente su una carovana. Lo spettacolo non destava scandalo, era un segno manifesto del potere che si mostrava senza veli ai cittadini.