Corriere della Sera – Governi tecnici tra mito e realtà
1 Agosto 2011Il copyright non è italiano ma è diventata ormai una specialità italiana. È la formula del «governo dei tecnici», sempre invocata nei momenti di difficoltà della democrazia parlamentare. Non è il semplice governo di minoranza, fondato sulla benevola astensione delle principali forze parlamentari, cui sovente fanno ricorso le democrazie. È qualcosa di più e di diverso. È il governo dei «competenti». Implica sfiducia nella democrazia rappresentativa. Il sottinteso è che i politici, i rappresentanti eletti, siano incompetenti, gente che sa fare solo disastri. Nell’ideale del governo dei tecnici si esprimono i sentimenti anti-politici delle élite. Se «mandiamoli tutti in galera» è lo slogan che meglio riassume i sentimenti anti-politici del popolo, «facciamo un governo dei tecnici» è il programma anti-politico delle élite.
La formula, che già Benedetto Croce, ai suoi tempi, aveva criticato con asprezza, torna oggi di attualità. Non poteva essere diversamente, stante le nostre tradizioni e il grave stato di salute della maggioranza berlusconiana. Possiamo identificare due categorie di sostenitori del governo dei tecnici. La prima è composta da quelli che vorrebbero sbarazzarsi di Berlusconi e sono alla ricerca di una qualunque risorsa che serva allo scopo. È stravagante che spesso gli stessi che oggi accarezzano l’idea di un governo dei tecnici si presentino, in altre fasi, come i paladini della democrazia parlamentare nella forma prescritta dalla Costituzione: è infatti difficile immaginare qualcosa di meno compatibile con la democrazia parlamentare del governo dei tecnici. Ma la loro posizione è comprensibile: lo scopo è politico (abbattere Berlusconi), i mezzi si equivalgono.
La seconda categoria è più interessante. È composta da coloro che pensano che oggi in Italia bisognerebbe fare certe cose e che i politici, proprio perché vincolati agli elettori da un rapporto di rappresentanza, non siano in grado di farle. Spesso si tratta di persone sinceramente preoccupate per il destino del Paese. Ritengono che l’Italia sia in una situazione di emergenza e che la democrazia rappresentativa non sia in grado di farvi fronte con i normali strumenti. Il governo dei tecnici è per costoro quella «breve vacanza» dalla, e della, politica, che può servire per rimettere le cose a posto. I «tecnici» hanno infatti questo vantaggio rispetto ai politici: non devono rendere conto agli elettori, non hanno il problema di essere rieletti, possono prendere decisioni in totale libertà. Il punto debole del ragionamento è che senza un accordo politico fra forze parlamentari, un tale governo non può essere insediato né, una volta insediato, può decidere alcunché. Si torna così alla casella di partenza: non importa il pedigree tecnico di chi governa, a metterci la faccia, a rischiare i voti, sono sempre le forze parlamentari.
Si tratti, che so?, di patrimoniale, o di qualunque altra misura impopolare si voglia immaginare, non c’è verso di evitare che siano i politici a rischiarci sopra le carriere.
Nelle situazioni di emergenza, ci dice l’esperienza storica, le democrazie ricorrono talvolta a soluzioni di emergenza. Questo sarebbe il nostro caso solo se l’Italia precipitasse in una crisi di tipo greco. Ma solo i più pessimisti tra gli esperti prevedono un esito simile. È possibile, e forse anche probabile, che questo governo non riesca a completare la legislatura. Ma in tal caso, c’è da scommettere, sarà ancora una normale soluzione politica quella che si troverà in Parlamento o nelle urne.
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