Anniversario amaro, per il Cavaliere. Seduto a centrotavola, il posto d’onore, ammette: «Non possiamo permetterci di forzare ora. Non si capirebbe il motivo, e rischiamo che si spacca il partito. È comprensibile che molti parlamentari sentano l’esigenza di tutelare la propria posizione».
È il diciottesimo anno dalla discesa in campo, giovedì sera a Palazzo Grazioli. Il televisore manda scintillanti filmati del Cavaliere trionfante: il ’94 , le vittorie, «l’Italia è il Paese che amo». E poi l’Aquila, il discorso a Onna, fazzoletto dei partigiani al collo. A tavola poca euforia. Perché stavolta il nuovo inizio si chiama Monti. La linea va digerita. Punto.
Parla poco, Berlusconi, che tra una portata e l’altra si limita ad annuire quando intervengono le colombe. Soprattutto a loro è affidato il compito di spiegare le ragioni della linea morbida al partito delle urne. Che tanto inconsistente non è: «Votiamo. E se non abbiamo i numeri in Parlamento faremo opposizione» è il ritornello di parecchi big. Non solo gli ex An La Russa e Matteoli. Bellicose le frasi di Brunetta, Verdini, Romani: «Monti si comporta come un padrone con noi».
Ecco che quando arriva il piatto di scamorze e verdure – cene austere, è il nuovo corso – il Cavaliere deve spiegare in privato quello che ha appena sostenuto in pubblico: «È impensabile e irresponsabile votare ora». E non solo per virtù. La necessità è seria. Alfano non usa perifrasi: «In questo momento non ci vota nessuno, né quelli che vogliono a casa il governo, né quelli che lo vogliono sostenere, né gli indecisi». La sensazione è che davvero il partitone dell’ex premier stia andando in frantumi. Sul territorio, raccontano a via dell’Umiltà, pare una guerra tra bande, le alleanze, semplicemente, non esistono. È un intero mondo che sta crollando. I giornali amici ogni giorno sparano sul quartier generale («Addio Pdl», l’epitaffio di Libero), i falchi chiedono al premier di non lasciare la Concordia che affonda, quando sentono aria di colombe. Scatenata Daniela Santanchè: «Oggi mi viene da dire: Sali sulla nave, Berlusconi, cazzo!», parafrasando l’ormai celebre ordine al comandante Schettino.
Insomma serve una linea, sia pur minima. Vecchie volpi come Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto spiegano che la situazione è seria, e a forza di parlare di urne a vanvera si rischia che si sfascia tutto. Soprattutto alla Camera, su una mozione di sfiducia, il gruppo non tiene. Vista l’aria e i sondaggi quelli che non hanno garantito il posto in lista sono nelle condizioni di non avere nulla da perdere. A quel punto Monti diventa «il nuovo Dini», e addio Pdl. Prudenza dunque. L’unica via è stare in maggioranza, provare a intestarsi alcuni provvedimenti, evitare il massacro del proprio mondo di riferimento. Anche perché, dicono Gianni Letta e Anna Maria Bernini, sta passando l’idea che Monti stia facendo riforme vere e il Pdl giochi di rimessa, schema non adatto al partito di maggioranza relativa. Per invertire la rotta, deve passare una linea che solo apparentemente è più morbida: trattare, su ogni provvedimento, anticipare il governo nella proposta, uscire dal buio mediatico.
Con distaccato realismo, il Cavaliere si limita ad annuire. Perché la nuova fase è già iniziata, sia pur sottotraccia. Quando ieri mattina si è riunito il cosiddetto tavolo sulla legge elettorale, l’abboccamento col Pd era già avvenuto. Partita delicata, la riforma del Porcellum, ma necessaria per uscire dalla tenaglia. E ridisegnare le alleanze affrancandosi dalla Lega, e provando ad agganciare l’Udc. Si parte da una sintesi tra modello spagnolo e modello tedesco, che consente di abolire il premio di maggioranza, senza tornare al proporzionale puro. Tradotto, consente di non dover fare un’alleanza coatta col Carroccio, ma neanche di consegnarsi a Casini dopo le elezioni. Una bozza su cui Alfano ha già sondato i vertici del Pd, almeno per iniziare la discussione. E non è un caso che sulla materia si registra un insolito afflato partitista nel Pdl: «Se ne occupa la segreteria, gli altri non sono autorizzati a parlare». Un confronto sulle riforme, di fatto, chiude il dibattito sulle «spine da staccare». E impegna il Parlamento a un dibattito che dura mesi. Al termine del tavolo mattutino il vicepresidente dei senatori Gaetano Quagliariello annuncia: «Chiederemo agli altri partiti di incontrarsi per valutare l’ipotesi di una mozione di indirizzo che non indichi però un modello ma delle linee guida». E il cerchio dell’operazione “linea morbida” si chiude con l’omaggio di Bondi al Corsera, termometro del montismo, che ieri, dopo diciotto anni, ha riconosciuto al Cavaliere di essere un leader capace di gesti di responsabilità. Già, l’anniversario.