Il Riformista – Viaggio nel popolo degli Stagisti
31 Gennaio 2012 0 Di luna_rossaIl Riformista.
di Elena Iannone
La condizione dei tirocinanti fra formazione e sfruttamento.
«I rapporti che i datori di lavoro privati e pubblici intrattengono con i soggetti da essi ospitati […] non costituiscono rapporti di lavoro». Stando all’articolo 1 del dm 142/1998 gli stage, o tirocini, effettivamente non sono lavoro. Eppure di forme di prestazioni lavorative si tratta, anche se il fine fosse (e non sempre lo è) esclusivamente la formazione. La realtà è però spesso diversa da come viene descritta nella regolamentazione. Succede allora che tirocinanti, spesso già laureati, vadano a sostituire in molte aziende che se ne avvalgono vere e proprie figure professionali, svolgendo mansioni di un normale impiego. Una mappatura della situazione degli stage relativa alla provincia di Milano voluta dal comune nell’autunno 2011 e svolta da “la Repubblica degli Stagisti” offre un interessante spaccato della situazione di questo tipo di attitudine che può essere esemplificativa dell’intero stivale; non foss’altro perché è la provincia che proporzionalmente attiva più tirocini. Sono infatti 500 mila l’anno gli stage che vengono attivati in tutta Italia, di cui 90 mila solo in Lombardia, e 13 mila nel solo comune di Milano. La ricerca ha visto la partecipazione di tutte e sette le università milanesi, più quattro istituti che si occupano di gestire e promuovere queste forme di collaborazione. Quello che è emerso è la grande carenza di dati che non vengono registrati, a partire dall’ammontare dell’eventuale rimborso spese erogato dal soggetto ospitante a favore del tirocinante. Altre lacune riguardano l’accertamento dell’effettiva durata del tirocinio e, cosa ancora più incredibile, è che la maggior parte dei soggetti non controlli l’esito stesso degli stage. Questo chiaramente è una prima spiegazione del come sia possibile evadere alcune restrizioni che sono presenti nelle normative vigenti, che dovrebbero regolarne i rapporti, e che in pratica si rivelano essere più che altro linee guida. Scarsa regolamentazione e scarso monitoraggio sono dunque due degli elementi che fanno sì che questa forma di apprendistato occasionale esuli spesso dal suo ruolo formativo per sconfinare in vere e proprie forme di sfruttamento lavorativo. Ci sono anche altri aspetti della vicenda che andrebbero considerati, come ad esempio il caso degli stagisti fuori sede, ovvero di studenti e laureati che si spostano per 3/6 mesi o anche un anno per effettuare stage, magari a titolo gratuito o con irrisori rimborsi spese (ad esempio i buoni pasto), e si trovano a dover sostenere i costi di vitto e alloggio. Dunque mantenersi a proprie spese per lavorare (ma non dovrebbe essere il contrario?), o per cercare di avvicinarsi a un impiego. E per quanto riguarda gli sbocchi professionali le cose sono molto cambiate nel nostro paese. Secondo l’analisi dell’Isfol sui tirocini promossi dai Centri per l’Impiego, nel 1999 i tirocini non erano neanche 7.500 con una percentuale di coloro che trovavano un lavoro dopo la fine dello stage del 46,4%. Nel 2007, il numero dei tirocini ha sfiorato i 49.000 con una media di assunzione post-stage del 28,7%. La Cgil ha presentato esattamente un anno fa un decalogo contro la truffa degli stage per i giovani: «Sulla questione dei tirocini ci siamo mossi tardi anche perché difficilmente veniamo interpellati dagli interessati, che a causa della durata dei contratti e del tipo di prestazione, non vivono il sindacato come un organo idoneo a far valere i propri diritti – ci racconta Luca De Zolt delle politiche giovanili della Cgil, che aggiunge – d’altronde non è prevista nessun tipo di sanzione per le imprese che non si attengono alle regole. Questo significherebbe intervenire con gli strumenti a disposizione per i lavoratori a tempo determinato e indeterminato, che prevedono tempi lunghissimi, ben oltre la durata del tirocinio stesso».
CategoriaLavoro