Alemanno l’alpinista finisce impantanato sulla cima dei Sette Colli- LASTAMPA.it
6 Febbraio 2012Alemanno l’alpinista finisce impantanato sulla cima dei Sette Colli- LASTAMPA.it.
Ieri il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha spalato la neve dalle strade della capitale
La débâcle del grande organizzatore di cortei
Se c’erano un luogo e un tempo per il compiersi della metafisica di Gianni Alemanno, quel luogo era Roma e quel tempo era adesso. Non è soltanto questione di ramponi. Sì, ha fatto una certa impressione vedere sommerso nella tormenta un sindaco che ha la fama di conquistatore di vette. Non ci si aspettava di assistere all’impantanarsi in dieci centimetri di neve di un politico agonista che vanta di aver lasciato le impronte sul Tour Ronde, cima del gruppo del Monte Bianco, tremilasettecentonovanta metri, e persino al secondo campo dell’Ama Dablam, seimila metri appena sotto l’Everest e il K2 (pensa il destino: da lì dovette sgomberare a causa di una nevicata).
C’è anche altro: quando ricapiterà ad Alemanno l’occasione cristallina di mettersi al comando della città eterna, sconfiggere gli dèi capricciosi, cingersi d’alloro?
Per capire Alemanno bisogna partire da suo figlio diciassettenne. Il ragazzo, avuto dalla moglie Isabella Rauti, si chiama Manfredi in onore del rampollo di Federico II di Svevia. Ora sarebbe eccessivo e malizioso supporre che Alemanno, in quanto padre di Manfredi, ambisca al titolo di Stupor Mundi , o di Puer Apuliae , il Fanciullo di Puglia, lui che è nato a Bari cinquantaquattro anni fa.
Però Federico II e Castel del Monte – con la sua fortezza dominante una zona di templari, misteriosamente geometrica, costruita, si dice, secondo la divina proporzione, carica di richiami agli equinozi, ai segni zodiacali, alla mitologia medievale – sono punti fermi di una certa destra cavalleresca, spirituale, magica, filoislamica e ghibellina, alla quale Alemanno apparteneva prima di approdare a un più squadrato guelfismo, a una più prosaica vita d’amministrazione, con tutti i miserelli danni collaterali: la parentopoli, la violenza quotidiana della città, persino una teca all’Ara Pacis da confermare dopo averla bombardata di minacce in campagna elettorale.
Ecco, il nostro sindaco, cresciuto rautiano prima che Pino Rauti diventasse suo suocero, era di quelli che non sognavano un ritorno al mussolinismo ma una rivolta contro il mondo moderno, e pertanto avevano rimpiazzato il fascio littorio con la croce celtica. Stiamo parlando della croce che ad Alemanno toccò di esibire una sera, intervistato da Daria Bignardi che gli aveva chiesto se davvero portasse al collo un simbolo fuorilegge. «La porto addosso, ma non la esibisco, perché è un ricordo di Paolo Di Nella, un amico che non c’è più», disse rosso di rabbia. E comunque, aggiunge ogni volta che ne ha l’occasione, la croce celtica è anzitutto un simbolo religioso.
Ecco, questa è la destra nel cuore di Alemanno. E’ la destra di un uomo che scala le vette, senza doppi sensi, inseguendo «un risvolto metafisico». In un’intervista a questo giornale spiegò che «andare su una montagna coincide con l’andare alla ricerca del trascendente» Disse: «E’ un’esperienza spirituale. Ci si sente più vicini a Dio». E’ la destra di un uomo che ha descritto così Fausto Bertinotti: «Forte autenticità dei valori. Spirito aristocratico. Utopia». E’ la destra di un uomo con qualche cedimento alla religiosità più campagnola e superstiziosa, per esempio quando ammette di far benedire gli uffici in cui lavora, prima di occuparne i locali. La destra di un uomo che non è mai stato il picchiatore di cui si parla, semmai un comandante in capo, uno da trincea, l’ineguagliato organizzatore dei cortei del Fronte della Gioventù, il cavaliere che riversa nell’azione il sentimento assorbito dai libri (Alemanno non vuole avere niente a che spartire con quelli alla Maurizio Gasparri o alla Ignazio La Russa, assertivi, tendenzialmente grossier, ci tiene alla sua preparazione, invidia alla sinistra «la capacità di strutturare un pensiero complesso», e dunque cerca di salvarsi con l’ironia – «quelli del Classico tengono a certe cose» se durante un incontro uno studente prende e se ne va perché il sindaco ha detto «spero vi servi…»).
Ebbene, dopo tanta teoria, e dopo tanta periferica pratica nelle scazzottate giovanili con i comunisti, era davvero giunto il momento di impugnare con mano millenaristica una lancia scintillante, dimostrare agli uomini e ai numi la caratura del Cesare, dello Stupor Mundi , conquistare una prima linea indiscussa, condurre la città sbigottita oltre la bufera, su un terreno saldo, asciutto, sicuro. E invece, guarda un po’, la Protezione civile gli ha sbagliato le previsioni.