La Gazzetta del Mezzogiorno.it | Come lavorano i giovani prof si adatta in cucina il sociologo lava le auto

25 Ottobre 2012 0 Di macwalt

Come lavorano i giovani prof si adatta in cucina il sociologo lava le auto

di MASSIMO BRANCATI

POTENZA – Da bamboccioni a schizzinosi, passando per scansafatiche e debosciati. Quante definizioni coniate, in tutti questi anni, dal politico di turno per identificare i giovani, quasi a voler scaricare sulle loro spalle la responsabilità della mancanza di lavoro e di programmazione. L’uscita del ministro Elsa Fornero è l’ultima della serie: ha detto che i ragazzi sono troppo schizzinosi, troppo «choosy» e che per il primo impiego dovrebbero sapersi accontentare. Proprio come ha fatto sua figlia che di posti fissi ne ha due: professore associato di Genetica medica alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino (dove insegnano padre e madre) e responsabile della ricerca alla fondazione Hugef. Questo significa accontentarsi. Le «bacchettate» alle nuove generazioni sono giunte anche dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri secondo cui i ragazzi devono rinunciare al lavoro accanto a mamma e papà e darsi una mossa. Ma non ha detto che il figlio, un top manager, ha cominciato la sua brillante carriera proprio aggrappandosi al percorso professionale della madre.

Quelle di Fornero e Cancellieri sono stilettate che si inseriscono nel solco tracciato dall’ex ministro Padoa Schioppa. Lo ricordate? Fu lui, nel 2007, a dire che i giovani sono mammoni, bamboccioni attaccati alle famiglie d’origine. Invitò i ventenni a tagliare il cordone ombelicale con mamma e papà, lanciando la proposta di un aiuto di mille euro all’anno per chi prendeva una casa in affitto. Progetto abortito. Il suo appello trova ancora oggi una sponda in Basilicata, regione che registra un alto numero di over 25 ancorati alle rispettive famiglie. Una ricerca dell’Istituto lard, in particolare, ha dimostrato che su 2.500 giovani lucani tra i 25 e i 29 anni, più della metà (57,3%) vive ancora con i genitori. Non si tratta sempre di una necessità economica, né del ritorno a una famiglia di tipo patriarcale. Secondo i sociologi dell’Istituto, invece, è il risultato di una società permissiva e consumista che non riesce più a soddisfare le aspettative dei giovani per i quali la famiglia diventa un rifugio.

Sono più gli uomini che le donne (67.4% contro 45.9%) i «mammoni» di Basilicata. Un dato che riporta al vecchio luogo comune che se una donna non si sposa è un’acida «zitelIa», mentre l’ uomo è un buon «vitellone». Un pregiudizio superato in molte società, ma che nell’ area mediterranea è ancora molto sentito, tanto che fra le «mammone» intervistate nell’ambito della ricerca molte rinunciano all’indipendenza proprio per risparmiare per il matrimonio.

Ma i «bambini» di 30 anni in realtà alcune attenuanti le hanno. lnnanzitutto Ia struttura della scuola e deIl’università. La scuola superiore termina a 18 anni. Quindi si va all’università e si finisce il ciclo di studi a 24-25 anni. Poi c`è la specializzazione o il tirocinio professionale, ma i ragazzi, mancando campus e alloggi universitari, fino a quell’età vivono in famiglia. Una volta entrati nella società e diventati adulti faticano ormai ad abbandonare le comodità di cui hanno sempre goduto. Anche la difficoItà di trovare lavoro e Ia mancanza di fatto di un’edilizia popolare giocano un ruolo decisivo. È vero, per molti giovani questa incertezza porta a ritardare le scelte definitive e a cercare rifugio nella famiglia, ma alla fine diventa anche una scelta: quella di piegarsi alle circostanze. II risultato? L’ esaurimento della famiglia stessa, che non si rinnova. Questi «mammoni», infatti, una volta che se ne vanno di casa e si sposano, non riescono a tagliare il cordone ombelicale che li ha alimentati per anni. E i genitori, cosi abituati a far parte della vita del figlio/a, si inseriscono nel loro matrimonio, nelle piccole e grandi cose. Della serie: io, mammeta e tu.

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