Caso Assange, lo scandalo travolge l’accusa svedese « Mazzetta

20 Novembre 2012 0 Di ken sharo

Claes BorgströmLa storia del caso giudiziario più famoso di Svezia si chiude per ora con un colpevole: Claes Borgström

Una storia che starebbe bene tra le pagine dei famosi autori di thriller giudiziari svedesi, se non fosse che non è una trama di fantasia, ma terribile realtà. È la storia del processo a Sture Bergwall, che un tempo voleva essere chiamato Thomas Quick e che oggi è tornato Sture Berwall, dopo essere stato condannato per otto omicidi e assurto alle cronache come il peggiore serial killer della storia svedese.

 

Per cinque di quegli omicidi è già stato assolto, per gli altri lo sarà presto. Bergwall deve la la sua “guarigione” ai medici e la sua riabilitazione ad Hannes Råstam, forse il più valente cronista e investigatore svedese, almeno fino a che non è morto l’anno scorso per un tumore. L’uscita postuma del suo libro dedicato al caso di Thomas Quick ha provocato un terremoto a Stoccolma e dintorni, che si è concluso, per ora, con l’imputazione di Claes Borgström, che di Quick/Bergwall aveva assunto la difesa.

 

Il libro di Råstam lo accusa di non aver fatto nulla per difendere il suo cliente com’era suo dovere e di avere quindi truffato allo stato svedese mezzo milione di dollari di parcelle e a Bergwall parecchi anni di vita. Borgström,in sintonia con gli inquirenti e il collegio giudicante, non fece nulla per accertare la verità, assecondò anzi la mitomania di Quick e lo condusse alla condanna come un agnello al macello. Eppure non sarebbe stato difficile eccepire che le “confessioni” di Quick erano state di fatto estorte al suo cliente imbottito di benziodiazepine, così com’era evidente che dei suoi racconti di omicidi ed efferatezze non si fosse trovato alcun riscontro, nemmeno la più piccola traccia ematica, mentre tante erano le contraddizioni e le invenzioni evidenti di luoghi e circostanze. Difesa e accusa procedettero all’unisono e il mostro fu assicurato alla giustizia.

 

Solo molti anni dopo, tornato Bergwall grazie all’interruzione della terapia con gli psicofarmaci, l’uomo tornò a ragionare e si cominciò a capire la dinamica di quanto successo, peraltro confermata dalle carte processuali, che dimostrano come le condanne furono fondate solo sulla mitomania dell’uomo e come Borgström (nell’immagine di copertina) abbia collaborato attivamente tenendo fuori dal processo un paio di testimoni che conoscevano la (a questo punto) vittima e la sua condizione clinica e umana.

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