La Stampa – Per la prima volta Berlusconi finisce in minoranza tra i suoi
9 Novembre 2012Per la prima volta Berlusconi è andato in minoranza in quello che era il suo partito. Forse è esagerato definirlo il 25 luglio del Cavaliere di Arcore, come quello che nel ’43 segnò la caduta del Cavaliere Benito Mussolini. Ma molti di coloro che ieri sera erano presenti all’ufficio di presidenza del Pdl hanno avuto questa sensazione. La sensazione cioè che tra il grande capo e la maggioranza del partito si sia rotto il cordone ombelicale. E l’immagine plastica di questa rottura è stata la durezza, nei toni e nei contenuti, con la quale Alfano ha reagito alle parole distruttive dell’ex premier prima e poi di Bondi, Santanché e Galan poi. «Non voglio essere candidato al nulla. Dobbiamo prendere una decisione, non siamo barzellettieri», è stata la reazione ruvida del segretario, che probabilmente ha fatto una gaffe evocando i raccontatori di barzellette come è appunto Berlusconi. Una voce dal sen fuggita si direbbe, dovuta all’esasperazione di un uomo messo lì a guidare un partito dallo stesso Berlusconi che qualche mese dopo disse che Angelino non ha il quid e che vuole rottamare il Pdl per fare altre liste.
È la fine di un’epoca. L’ex premier non si aspettava la reazione del suo ex delfino. Non si aspettava il fuoco di fila di Formigoni, Lupi, Gelmini, Fitto, Cicchitto, Gasparri, La Russa e Mario Mauro, il quale è stato il primo a parlare dopo i rottamatori Santanché, Bondi e Galan, definiti i killer del Cavaliere. L’eurodeputato del Pdl, nuovo uomo forte di Cl, ha spiegato che le primarie servono a recuperare l’unità del partito. «E poi è inutile girare intorno al problema, caro presidente», ha scandito rivolto a Berlusconi: «Non sei più l’asso nella manica dell’antipolitica come nel ’94. Lei, presidente, è ormai espressione della politica, come tutti noi, e subisce l’erosione dell’antipolitica». Mauro ha dato il là a una serie di interventi a sostegno di Alfano, che ha interrotto Galan che stava continuando a dire che il Pdl è morto perchè non guarda al Nord, anzi è «a trazione siciliana, per la precisione un partito che va da Agrigento a Paternò». Agrigento è la città di Alfano. L’agrigentino gli ha replicato: «Non ti permetto di dire queste cose. La Sicilia è vicina ai confini con l’Africa, ma questo non vuol dire che un siciliano non possa guidare un partito nazionale».
Insomma, Angelino ha tirato fuori il quid. Anzi, per riferire una battuta di Crosetto a Berlusconi, «questa volta Alfano i coglioni ha dimostrato di averli sotto e non solo attorno». Ora, nelle prossime ore, il Cavaliere dell’8 novembre se ne tornerà a Malindi, nel resort di Briatore, dopo aver fatto un’apparente marcia indietro. Ha detto che non farà una sua lista, ma sono in pochi a credere che demorda. Ha continuato a parlare di un choc salutare da dare al Pdl, oltre le primarie. Ha detto che gli viene attribuita la capacità di tirar fuori un coniglio dal cilindro: «Stavolta penso di togliere un dinosauro». Ma non sembra avere più carte da giocare. Non ha il nuovo Berlusconi nella manica, le amazzoni da sole non bastano, non ha più l’appeal popolare di una volta, l’antipolitica ha corroso pure lui. Gli vengono attribuiti ancora intenzioni bellicose, di piani studiati a Malindi con Briatore, di imprenditori come Samorì pronti a fare liste nuove. Ma nessuno ci crede. Come dice Gelmini, non si possono far saltare le primarie e il partito a pochi mesi dalle elezioni, non si può arrivare all’ufficio di presidenza mettendo Berlusconi contro Alfano, caricando a pallettone il primo contro l’altro, come hanno fatto la Santanchè, Bondi e Galan.
Ora il partito dovrà mettersi in marcia. Ce la farà? Il Cavaliere se ne starò buono? La Russa ci crede poco. Ma Alfano e quel che resta del partito sono decisi ad archiviare il padre padrone.
La Stampa – Per la prima volta Berlusconi finisce in minoranza tra i suoi.