L’Indro: Sudafrica: esplode la rabbia dei braccianti agricoli

22 Novembre 2012 0 Di luna_rossa
Lo sciopero è iniziato contro la multinazionale De Doorns: i lavoratori chiedono paghe più alte, migliori condizioni e orari di lavoro. Sono in discussione i capisaldi del potere boero.

Improvvisamente una settimana fa nella Provincia di Western Cape è scoppiato uno sciopero generale dei braccianti e lavoratori stagionali impiegati nell’agricoltura. Lo sciopero è iniziato presso la multinazionale agroindustriale De Doorns assumendo immediatamente una connotazione nazionale. Gli scioperanti rivendicano un salario mensile di 12.500 rand (1.195 euro), l’assunzione diretta e migliori condizioni di lavoro.

La metodologia dello sciopero e le rivendicazioni sindacali sono simili a quelle delle proteste dei minatori, segnale inequivocabile che i braccianti sono stati ispirati dalla rivolta di Marikana. La multinazionale De Doorns è una tra le principali aziende vinicole che ha reso famoso il vino sudafricano a livello mondiale. Le sue esportazioni di vini pregiati hanno destinazioni continentali, americane, europee e asiatiche. Recentemente i vini sudafricani sono riusciti a penetrare anche il mercato Australiano.

La multinazionale utilizza 8.000 braccianti fissi e 8.000 stagionali. Con un un volume d’affari annuo dichiarato di 432 milioni di rand (41,3 milioni di euro), le previsioni aziendali sono quelle di aumentare le esportazioni del 5% entro il 2013. De Doorns è altrettanto famosa per le pessime condizioni salariali e lavorative. I 16.000 dipendenti fissi o stagionali non sono direttamente assunti dalla multinazionale che si affida a una decina di agenzie interinali pagando a esse la prestazione offerta dal lavoratore. Da un’inchiesta svolta dal quotidiano ’Mail&Guardian’ la De Doorns paga mediamente 22 rand all’ora (2,10 euro) alle agenzie interinali. Il bracciante riceve solo 0,8 rand (0,76 centesimi di euro) e per lo più tassabili.

L’utilizzo delle agenzie interinali ha portato inevitabilmente ad una drastica diminuzione del costo della mano d’opera e delle condizioni di lavoro che alcuni giornalisti sudafricani definiscono medievali. Un rapporto del Ministero del Lavoro risalente all’agosto 2011 dettaglia una lunga lista di violazioni sindacali commesse dalla multinazionale come: esposizione dei lavoratori a fertilizzanti e pesticidi senza adeguato equipaggiamento protettivo, mancanza di accesso ad acqua potabile e ai servizi igenici, disumani orari di lavoro (fino a 14 ore giornaliere), serie intimidazioni per prevenire la sindacalizzazione.

La protesta è stata astutamente indirizzata contro la multinazionale e non contro le agenzie interinali ed è guidata da un sindacato che non aderisce alla Federazione COSATU, il Commercial Stevedoring Agricultural and Allied Workers Union (CSAAWI) noto per le sue posizioni di estrema sinistra. La reazione del COSATU è stata espressa dal Segretario provinciale Tony Ehrenreich che ha affermato di appoggiare le richieste avanzate dai scioperanti.

Come nel caso della rivolta dei minatori (tutt’altro che conclusa) il Governo ha optato per la linea dura, dichiarando lo sciopero illegale, tentando di soffocarlo con un largo uso delle forze d’ordine e minacciando i braccianti di arresto in caso di danni alle proprietà della multinazionale. Questa linea sembra essere stata promossa dal Governatore della Provincia di Western Cape, Helen Zille rappresentante sia del partito d’opposizione boera Alleanza Democratica che dei latifondisti bianchi della regione a cui è legato da vincoli razziali e familiari.

La protesta ha scioccato il Paese, poiché il settore agricolo rappresenta non solo un’importante fetta del Pil ma è legato alla delicata questione della riforma agraria. Uno tra i punti cardine della rivolta armata dell’African National Congress durante gli anni di guerriglia contro il regime boero, la riforma agraria non è stata mai seriamente attuata né dal Governo Mandela nè dai successivi governi sudafricani.

L’82% delle terre appartiene ancora a cittadini sudafricani di razza bianca: i boeri. Ai contadini neri (che rappresentano il 48% della popolazione) sono lasciati piccoli appezzamenti improduttivi ubicati nelle zone aride che al tempo del regime di Botha formavano di Batunstand (ghetti per neri). Le alternative sono quelle di lavorare come braccianti per i latifondisti bianchi o di immigrare nei centri urbani in cerca di qualunque lavoro.

I latifondisti boeri hanno ottenuto la proprietà delle terre nell’Ottocento grazie all’esercito coloniale britannico, che procedette all’espropriazione contro le tribù indigene senza indennizzo. Un’espropriazione eseguita con la coercizione e le baionette. La mancata riforma agraria viene vissuta dalla maggioranza della popolazione come il primo tradimento alle idee rivoluzionarie della dirigenza Anc. Il sentimento è aggravato da due fattori. Vari alti dirigenti dell’Anc (Presidente Jacob Zuma compreso) sono divenuti a loro volta dei latifondisti.

Nel vicino Zimbabwe la riforma agraria è stata attuata nel 2002 attraverso l’espropriazione senza indennizzo delle terre ai latifondisti bianchi rhodesiani e di alcuni europei compresi gli italiani. Nonostante l’embargo economico internazionale fomentato dalla Gran Bretagna nel 2003, la riforma agraria è stata attuata in pieno dal Presidente Robert Mugabe. Recenti studi internazionali hanno evidenziato che il provvedimento ha migliorato le condizioni di vita dei contadini zimbabwani, assicurato la autosufficienza alimentare nel paese e aumentato le esportazioni di prodotti agricoli nei paesi della regione. Non è un caso che tra le migliaia di braccianti in sciopero vi siano molti immigrati (anche clandestini) provenienti dallo Zimbabwe.

Il 16 novembre scorso Angiee Motshekga, dirigente del COSATU e vice Ministro del Lavoro ha dichiarato la sospensione dello sciopero per due settimane in attesa di trovare un accordo tra le parti. Nonostante la volontà del Governo di porre fine alle agitazioni sindacali dei braccianti lo sciopero ad oltranza continua. I manifestanti affermano di poter accettare un compromesso che preveda una paga oraria di 150 rand (14,30 euro), l’assunzione diretta e drastici miglioramenti delle condizioni lavorative.

Ashlim Thomas, uno dei leader del Comitato di sciopero avverte dalle pagine del ’Mail&Guardian’: “Il COSATU e il Governo possono fare le dichiarazioni e gli accordi che vogliono, ma noi non li riconosceremo se non sono a nostro vantaggio, poiché ogni lavoratore in Sud Africa ha il diritto di essere padrone del suo destino”. Il leader pone l’accento sulla internazionalizzazione dello sciopero visto che ha coinvolto anche i stagionali provenienti da paesi vicini: Zimbabwe, Angola, Swaziland e Lesotho.

Il neonato movimento sindacale organizzato dalla CSAAWI è il primo nel settore e pone il Governo di Jacob Zuma ad un bivio. Assieme al settore minerario quello agricolo costituisce la base dell’economia sud Africana ereditata dai periodi coloniale e dell’Apartheid. Nel paese si stanno mettendo in discussione i capisaldi del potere economico boero.
Il conflitto sociale si sta progressivamente indirizzando su sbocchi rivoluzionari. L’unico modo di evitare la non auspicata guerra civile è quella di arrendersi alla realtà. La mano d’opera sudafricana vuole essere pagata come quella occidentale. Molti cittadini sudafricani non considerano queste rivendicazioni assurde o utopiche, ma una giusta redistribuzione degli immensi profitti prodotti dai lavoratori, facendo notare che migliori paghe aumenteranno il potere d’acquisto delle masse con evidenti benefici sui consumi e sulla ripresa economica del Paese.
L’Indro: Sudafrica: esplode la rabbia dei braccianti agricoli.