Polizia violenta? Troppi agenti provengono dall’esercito | LIBRE

23 Novembre 2012 0 Di ken sharo

Picchiano senza pietà: indossano la divisa della polizia, ma provengono dall’esercito. Precisamente: dalle forze speciali inviate sui fronti di guerra della Bosnia, dell’Iraq e dell’Afghanistan. Polizia sotto accusa per gli eccessi di violenza contro studenti inermi? Il problema, scrive il “Manifesto”, imbarazza moltissimi agenti e funzionari della polizia antisommossa: da tempo è carente l’addestramento, fondamentale per formare in modo adeguato i reparti incaricati di mantenere l’ordine pubblico secondo regole civili, e non militari: «Anche il più violento dei manifestanti non deve mai essere considerato un “nemico”», come avviene invece in guerra, cioè nei luoghi da cui ormai provengono moltissimi agenti. Troppi, secondo poliziotti e dirigenti, preoccupati per il ricorso ormai sistematico alla “mano pesante” durante le manifestazioni di piazza.

«Nel giro di poco tempo hanno dismesso la divisa di soldato per indossare quella di poliziotto, ma dentro di sé sono rimasti dei militari», scrive Carlo Un manifestante feritodalla poliziaLanna in un servizio per il “Manifesto” che raccoglie diverse voci dagli ambienti della forze dell’ordine. Più che poliziotti, in piazza finiscono troppo spesso ex militari, che «come tali agiscono». Poliziotti addestrati come soldati, aggiunge Lanna, perché è dalle fila dell’esercito che ormai proviene la stragrande maggioranza di loro. E perché i fondi per riaddestrarli – facendogli capire che quelli che hanno di fronte sono cittadini, non “nemici” – non ci sono. Le conseguenze di questa situazione si sono viste platealmente nell’ultima giornata campale di scontri, con studenti ripetutamente aggrediti: «Scene che hanno invaso la rete e che in queste ore stanno creando lacerazioni anche all’interno delle forze dell’ordine».

Fino a dieci anni fa, ricorda il “Manifesto”, l’accesso in polizia era possibile solo attraverso un concorso pubblico. Dal 2000, però, i concorsi sono fermi. E l’arruolamento viene garantito attraverso i giovani che, dopo aver trascorso un periodo di “ferma breve” nell’esercito, usufruiscono della corsia preferenziale riservata loro dalla legge per entrare in polizia e carabinieri, nella Guardia di Finanza o nella polizia penitenziaria. «Il problema – spiega un funzionario con anni di piazza alle spalle – è che questi giovani sono stati addestrati per combattere e obbedire agli ordini senza discutere: e non capiscono che il ruolo che ricoprono ora è completamente Manganellate sui manifestantidiverso». Molti di loro, poi, hanno alle spalle missioni  all’estero – dai Balcani a Kabul – cioè in luoghi dove «per sopravvivere devi combattere».

«Bisognerebbe addestrarli per spiegargli la differenza tra essere un poliziotto ed essere un soldato», aggiunge il funzionario, «ma i soldi per farlo non ci sono ormai da parecchio tempo». Altro effetto dello stop ai concorsi è la diminuzione del numero di donne poliziotto: quelle che scelgono la “ferma breve” nell’esercito sono poche, e ancora meno sono quelle che poi decidono di passare in polizia. Fenomeno che non incide molto sui servizi di piazza – le donne non vengono assegnate ai reparti mobili – ma ha un peso rilevantissimo dal punto di vista culturale, visto che quello della polizia diventa un ambiente sempre più maschile e maschilista. «A tutto questo – conclude il funzionario intervistato dal “Manifesto” – si deve aggiungere un’ultima considerazione: quando in polizia si accedeva attraverso il concorso, molti giovani laureati sceglievano di intraprendere questa carriera. Adesso chi ha una laurea non viene più in polizia, perché non ha voglia di passare prima alcuni anni della sua vita sotto le armi».

Claudio Giardullo, segretario del sindacato di polizia Silp, non è certo uno che si tira indietro nel denunciare gli eccessi della polizia durante la manifestazione del 14 novembre a Roma, anche se premette che «le forze dell’ordine hanno una professionalità altissima» e assicura che «le violenze che abbiamo visto tutti sono opera di singoli, che dovranno risponderne». Detto questo, aggiunge Giardullo, «se si vuole capire cosa è successo io dico che ci sono almeno due concause. La prima: sta prevalendo, nella strategia dell’ordine pubblico, l’idea che l’importante è impedire a chiunque di avvicinarsi ai palazzi delle istituzioni». Se il governo non chiarisce che «insieme alla tutela dei palazzi ci deve essere la massima tutela dei diritti della persona», insiste Giardullo, «qualcuno potrebbe equivocare il suo ruolo». Per il sindacalista, «c’è un’ambiguità politica che va risolta». La seconda considerazione suona come un grido d’allarme: «Si ha l’idea di Claudio Giardullo, del Silpusare le forze di polizia come supplenza alle mancanze della politica, e questo è chiaramente sbagliato».

A rendere la situazione più complicata, aggiunge Mario Lanna, contribuiscono poi altri elementi, come la sensazione di instabilità che regna ai vertici della polizia. Una sorta di fragilità, alimentata anche dall’ultima vicenda del “corvo” – le segnalazioni su presunte irregolarità negli appalti sulle forniture, che hanno portato alle dimissioni del vicecapo della polizia, Nicola Izzo. E prima ancora, aggiunge il “Manifesto”, a pesare è consapevolezza di essere in una fase di passaggio, di cambiamento del modo di pensare e delle modalità di azione della polizia. Con, finora, una sola certezza: che il “modello” visto all’opera al G8 di Genova è alle spalle, ma quale sia quello futuro non sembra saperlo bene ancora nessuno. E «non è detto che si tratti necessariamente di un passo in avanti rispetto al passato: in quale direzione si andrà è dunque tutto da capire». Da quasi trent’anni, conclude Lanna, un prefetto non siede più sulla poltrona del capo della polizia: gli ultimi tre (Masone, De Gennaro e Manganelli) provengono tutti dai ruoli operativi. Adesso, i prefetti chiedono un ricambio nelle nomine che consenta loro di tornare ai vertici dell’istituzione, «con tutte le variabili che questo comporterà».

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