Rainews24.it – Ma per i pm palermitani Berlusconi garante del patto Stato-mafia
6 Novembre 2012Il rapporto con le istituzioni, passato attraverso le valutazioni rozze di Totò Riina, le minacce e le bombe del 1992-’93, avrebbe trovato il suo punto finale della “travagliata trattativa, che trovò finalmente il suo approdo nelle garanzie assicurate dal duo Dell’Utri-Berlusconi”
Cosa fu la trattativa Stato-mafia? Chi la volle e chi la rese possibile? Domande alle quali i pm palermitani che oggi hanno depositato una sorta di summa di 4 anni di indagine, giunti ormai al vaglio del gip che dovrà decidere il rinvio a giudizio di 12 tra capimafia,
politici e ufficiali dell’Arma, tentano di rispondere. Una memoria che rappresenta anche l’ultimo atto a Palermo del procuratore aggiunto Antonio Ingroia, prima della sua partenza per il Guatemala.
La mafia e la fine della Prima Repubblica
La ricostruzione storica di Ingroia parte da lontano, da quando cioè la fine della guerra fredda e il crollo del muro di Berlino fecero venire meno la “giustificazione storica della collaborazione con la grande criminalità”. Lo Stato a un certo punto volta le spalle alla criminalità. Il vecchio sistema è alle corde. C’è la crisi economica, c’è Tangentopoli. E’ in questo quadro complessivo che va inserita la strategia di alleanze che Cosa nostra organizza in quella nebulosa e complessa fase storica di transizione tra Prima e
Seconda Repubblica, quando concepisce un piano di destabilizzazione del quadro politico tradizionale.
In principio fu l’omicidio di Salvo Lima
L’incipit è l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima, proconsole andreottiano
in Sicilia, emblema dei vecchi referenti politici delle cosche. “Dobbiamo fare la guerra allo Stato per poi fare la pace”, dice il boss Toto’ Riina ai suoi. E cosi’ tenta di fare nella
ricerca di un nuovo soggetto col quale venire a patti. La morte di Lima spaventa molti: come l’ex ministro Calogero Mannino, tra i 12 imputati, che grazie ai suoi contatti coi
carabinieri del Ros avrebbe iniziato a trattare per avere salva la vita. Ci sono i contatti tra gli ufficiali e l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, trait d’union con il padrino di Corleone, poi c’e’ il papello con le richieste della mafia allo Stato.
Poi arrivarono l’arresto di Riina e le bombe mafiose
Dopo l’arresto di Riina cambiano i referenti: entrano in scena Marcello Dell’Utri e il capomafia Bernardo Provenzano. Ma la logica e’ la stessa. La ricerca del nuovo
patto politico-mafioso. Nel ’93 c’e’ bisogno di dare una scossa al dialogo. E arrivano le bombe di Milano, Roma Firenze. “Che – scrivono i pm – questa volta produssero qualche frutto”: l’allentamento dei 41 bis, un segnale di disponibilita’ ad
andare incontro ai desiderata di Cosa nostra”.
Al Viminale rimosso chi era troppo intransigente
La trattativa in questa fase arriva a toccare i piu’ alti vertici istituzionali (accusati nella memoria della Procura di “amnesia collettiva”). Sostituiti i ministri ritenuti troppo
intransigenti come Claudio Martelli e Vincenzo Scotti, ecco Nicola Mancino al Viminale e Giovanni Conso alla Giustizia. In questo mix mafioso-istituzionale boss e pezzi dello Stato agiscono “in nome di una male intesa e percio’ mai dichiarata ragione di Stato”.
Scalfaro cedette alla mafia sul 41 bis
Nel reato commesso dai padrini – la violenza a Corpo politico dello Stato perpetrata con le bombe – concorrerebbero, secondo i magistrati, l’allora capo della polizia Vincenzo Parsi, il vicedirettore del Dap Francesco Di Maggio (entrambi morti) che, “agendo entrambi in stretto rapporto operativo con l’allora presidente della Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro, contribuirono al deprecabile cedimento sul 41 bis”.
Ultima fermata, Berlusconi
Si arriva cosi’ al 1994 quando, secondo il quadro ricostruito dalla Procura, la ricerca di Cosa nostra arriva al punto e il patto si salda. Il destinatario dell’ultima minaccia
è il neopremier Silvio Berlusconi. Si sfiora la strage con il fallito attentato all’Olimpico: messaggio intimidatorio chiaro che a Berlusconi sarebbe stato portato da Dell’Utri. Poi arriva la pace. “Si completo’, in tal modo – concludono i pm – il lungo iter di una travagliata trattativa che trovo’ finalmente il suo approdo nelle garanzie assicurate dal duo Dell’Utri-Berlusconi”.
Ciancimino figlio fondamentale
I politici italiani sarebbero rimasti vittime di una “forma di grave amnesia collettiva”, che avrebbe interessato “la maggior parte dei responsabili politico-istituzionali dell’epoca” e che sarebbe “durata vent’anni”. L’amnesia non si sarebbe fermata nemmeno “di
fronte alla drammaticita’ dei fatti del biennio terribile ’92-’93, quanto meno di fronte alle risultanze (anche di natura documentale) che confermavano l’esistenza di una trattativa ed il connesso – seppur parziale – cedimento dello Stato, tanto piu’ grave e deprecabile perche’ intervenuto in una fase molto critica per l’ordine pubblico e per la nostra democrazia”. Lo sostiene la procura di Palermo, nella memoria inviata al Gip
Piergiorgio Morosini, sulla vicenda della trattativa Stato-mafia. I magistrati, pur avendo imputato Massimo Ciancimino di calunnia aggravata e concorso in associazione
mafiosa, gli riconoscono il merito di avere risvegliato la memoria assopita di tanti uomini politici.