Rifiuti, Milano come Gomorra – l’Espresso
16 Novembre 2012 0 Di ammiano marcellinoRifiuti, Milano come Gomorra – l’Espresso.
Discariche abusive, appalti fantasma, bonifiche mai eseguite. Ma soprattutto il monopolio delle mafie su tutte le attività di smaltimento. Il rapporto-choc che emerge da tre anni di lavoro della commissione d’inchiesta
(15 novembre 2012)
Discariche abusive, bonifiche mai eseguite, appalti fantasma, ma soprattutto il monopolio della mafia su tutte le attività di trasporto dei rifiuti.
E’ il quadro che emerge da tre anni di lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in Lombardia. Audizioni di prefetti, magistrati, imprenditori e politici raccolte in un rapporto che verrà pubblicato a fine mese, di cui ‘l’Espresso’ può dare un’anticipazione in esclusiva.
Ci saranno le ricostruzioni dei processi più celebri ai clan Barbaro-Papalia, Romeo-Flachi e Paparo, ma anche dati allarmanti sull’emergenza ambientale del bresciano e nuove informazioni sul sito d’interesse nazionale di Mantova.
Un quadro che ricorda Gomorra ma è ambientato a Milano, Como, Lodi, fra le verdi colline della Franciacorta e le pitture rupestri della Valcamonica, che minaccia i laghi del Nord e la salute di milioni di cittadini. Perché l’effetto di questi traffici non è solo lo strapotere dei clan: sono verdure alla diossina, acqua che non si potrà più bere, sorgenti radioattive scoperte sotto le case. Quindi, malattie. E un ambiente compromesso spesso in modo irrimediabile.
La Lombardia ha un primato: tutti i suoi comuni rispettano le direttive Ue e differenziano i rifiuti per più del 50 per cento, con alcuni paesi, soprattutto medio-piccoli, che superano ampiamente la metà. Una medaglia al valore macchiata dal business delle scorie speciali, pericolose e non, che da sole sono l’80 per cento di tutti i rifiuti che transitano in Lombardia.
Macchiata, perché il trasporto e il trattamento di questi scarti viene gestito con una sola regola: non rispettare le leggi. Fanghi velenosi versati sui campi, autostrade riempite con rifiuti non trattati, cave sommerse di amianto e metalli pesanti: secondo la Commissione queste attività, in Lombardia, sono semplice routine. Lo rivelano grandi e piccole inchieste su tutto il territorio: dallo scandalo della Perego strade di Como, che ha riempito con materiali non trattati anche il cantiere del nuovo ospedale Sant’Anna, a “piccoli” drammi ambientali come i 640 fusti da 200 litri di rifiuti tossici pericolosi scoperti dalla polizia in un capannone di Castiglione delle Stiviere.
In questo panorama non poteva che proliferare l’«anarchia organizzata» delle ‘ndrine. Cinque indagini della magistratura, da ‘Cerberus’ a ‘Isola’, hanno portato alla luce un sistema monopolista di ‘padroncini calabresi’, utilizzati dagli imprenditori lombardi per il trasporto terra e il trasferimento e trattamento dei rifiuti. Il lavoro gestito dalle famiglie affiliate alla ‘ndrangheta abbatte la concorrenza, proponendo prezzi stracciati, anche se in molte zone (Assago, Corsico, Buccinasco, ad esempio) sono talmente forti da far paura a chiunque, e possono determinare a loro piacimento prezzi e condizioni: «I nostri fornitori, ai quali vengono proposti lavori in Assago, si tirano indietro», racconta un testimone nel procedimento che ha portato all’arresto di otto esponenti di spicco delle famiglie Barbaro e Papalia.
Proprio quell’inchiesta portava alla luce anche l’ingresso inesorabile delle mafie nel mondo della politica. Arrivata all’apice col recente arresto dell’assessore regionale Zambetti, la cavalcata delle cosche calabresi era iniziata infatti con la conquista di comuni come Buccinasco, dove ormai le aziende affiliate ai clan erano arrivate ad intascare soldi pubblici anche per lavori mai commissionati.
Nonostante l’attenzione delle procure, gli arresti e le indagini, il business dei rifiuti non si è mai fermato. La rete di appalti, subappalti, subappalti dei subappalti (vietati per legge ma praticati comunemente) è talmente fitta che le stesse figure, le medesime aziende, ritornano, spesso senza nemmeno cambiare nome.
Lo ha fatto tra gli altri anche Pierluca Locatelli, che con i suoi 160 cantieri aperti sull’Alta Velocità si era occupato nel 2003 di un subappalto alla Di Lieto, assegnando a sua volta i lavori a un’azienda dei fratelli Paparo. Intervenne la magistratura, ma l’attività di Locatelli continuò indisturbata fino al suo arresto, lo scorso 30 novembre, per corruzione e traffico illecito di rifiuti in riferimento ai cantieri Bre.Be.Mi e alla discarica d’amianto di Cappella Cantone.
Non è il solo nome che ritorna, nell’intrico di relazioni che il rapporto della Commissione racconterà nel dettaglio. Intanto però il messaggio è chiaro: in Lombardia, sui rifiuti, comandano le mafie. E la preoccupazione sull’Expo aumenta. I senatori stessi hanno espresso un dubbio riguardo al fatto che l’urgenza con cui tutti i lavori, d’ora in poi, dovranno essere eseguiti, potrebbe mettere in difficoltà l’amministrazione comunale, qualora si dovessero revocare degli appalti in corso. La “White list” delle aziende è sicuramente un passo avanti, ma servono controlli continui. E una legge più severa sui reati ambientali, oggi puniti assai leggermente.
Forse proprio perché si rischia così poco, ad inquinare, ci sono aziende che fanno orecchie da mercante anche allo stesso ministero dell’Ambiente. Ne è un esempio la Colori Freddi San Giorgio srl, che si trova all’interno del sito d’interesse nazionale “Laghi di Mantova e polo chimico”. L’area inquinata è stata individuata ufficialmente nel 2003 e da allora tutte le 16 aziende del Sin, dalla raffineria Ies alla Belleli Energy Srl, sono state costrette a investire per quantificare il danno ambientale e ipotizzare un piano di bonifica. Tutte, più o meno, stanno mettendo in atto qualcosa: barriere, pozzi di contenimento, pompe di estrazione per non lasciare che sul Mincio arrivino onde di idrocarburi.
Tutte tranne una, la Colori Freddi, che si rifiuta categoricamente anche solo di permettere all’Arpa di avere informazioni su cosa è sepolto nella terra sottostante l’impianto industriale. Tace, e anche la Commissione ricostruisce la storia di questa ostinata opposizione alle istituzioni con toni esterrefatti. L’ennesimo ultimatum è arrivato il 15 ottobre, ma non sarà che un altro ordine da lasciar cadere nel vuoto dopo una lunga serie di imperativi mai eseguiti. Così, nonostante siano passati nove anni dall’identificazione dell’area come luogo talmente contaminato da richiedere l’intervento statale, ben poco è stato fatto. Quattro appalti, ma «tutti con lo stesso oggetto» e soprattutto non portati a termine, spiega il rapporto, con misure di prevenzione del tutto insufficienti a prevenire il rischio di inquinamento della falda e del fiume. A preoccupare i senatori sono i dati epidemiologici: a quasi tutti i cittadini del mantovano sarebbe stata trovata diossina nel sangue, con punte massime per gli abitanti della zona industriale. E mentre la Montedison è a processo per i 72 operai morti di tumore, un’indagine dell’Asl avrebbe messo in evidenza un eccesso statisticamente significativo di leucemie nel comune di Castiglione delle Stiviere.
I mantovani non sono gli unici a temere per la propria salute. Con loro ci sono gli abitanti della provincia di Brescia, nelle cui discariche sono stati smaltiti oltre quattro milioni di tonnellate di rifiuti speciali: la quantità pro capite è il triplo rispetto alla media nazionale. Con 110 discariche cessate e 30 attive, per il 95% occupate proprio da rifiuti speciali, Brescia potrebbe detenere un record, che si sicuro spetta al piccolo paese di Montichiari, letteralmente assediato da scarti industriali e monnezza.
Nel territorio comunale ci sono ben sette cave adibite allo smaltimento di rifiuti, di cui una, la Ecoeternit, pronta ad ospitare 960mila metri cubi d’amianto. «Qui ogni buca è una discarica» avrebbe detto desolata il sindaco di Montichiari alla Commissione. Non c’è forse molto da stupirsi allora che Arpa e Asl continuino a mandare allarmi sulla grave situazione in cui versa la falda acquifera in tutta la provincia: in Valtrompia sono state trovate tracce consistenti di cromo esavalente, e non è la sola zona in cui la falda risulta essere contaminata. Nel territorio bresciano la direzione dell’Asl ha individuato quasi 200 sorgenti radioattive, tanto che a Lumezzane stanno costruendo un bunker per conservare le scorie per almeno 300 anni.
Veleni che dalla terra passano al sangue: l’ultimo studio epidemiologico condotto dall’Asl di Brescia e dall’Università sulla popolazione che vive nelle zone a est/sud-est della città avrebbe evidenziato eccessi di mortalità statisticamente rilevanti per tumori allo stomaco in entrambi i sessi e tumori del polmone per le donne. I senatori della Commissione sono andati di persona in tutti i comuni interessati dallo studio e ne hanno riportato l’idea che quell’area sia, oggettivamente, in stato di crisi.
Dalla bassa lombarda gli autori del rapporto sembrano voler rivolgere al governo un invito: forse, d’ora in poi, bisognerebbe imparare ad ascoltare i cittadini.